2 Marzo 2023

The Mandalorian 3×01 – Torniamo ai pupazzotti di Diego Castelli

Il ritorno di Grogu e Mando sembra meno ficcante degli esordi precedenti e pone qualche questione in rapporto con le altre serie di Star Wars

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QUALCHE SPOILERINO PICCINO

Le serie tv, non diversamente da altri prodotti culturali e di intrattenimento, si possono dividere, anzi no, percepire, in blocchi. E parliamo di blocchi in parte oggettivi (che ne so, tutte le opere di uno stesso autore) e in parte soggettivi (“le serie che quando ero bambino mi hanno iniziato alla serialità”).
Questi blocchi hanno un ruolo non indifferente nell’influenzare la nostra percezione e il nostro giudizio, e le case di produzione sanno che uno stesso prodotto funziona in un certo modo se arriva prima di un altro, e funziona diversamente se arriva dopo. Sanno che il passare degli anni pone nuove sfide, sanno che il favore del pubblico è ondivago e continuamente stiracchiato e pungolato da una miriade di spunti diversi.

Ho pensato a questa cosa guardando la prima puntata della terza stagione di The Mandalorian, perché vedere questo episodio a molta distanza dalla fine della seconda, con in mezzo altri prodotti a marchio Star Wars dal tono e dalla qualità molto diversa (The Book of Boba Fett, Obi Wan Kenobi, Andor), ha in qualche modo ridimensionato, o forse meglio circoscritto, il ruolo di The Mandalorian in questo universo.

In questo senso, l’episodio insiste su alcuni punti di forza innegabili della serie, e però perde anche qualcosa di importante rispetto al passato.

Nelle prime due stagioni, quando era di fatto l’unica (e apprezzata) serie live action di Guerre Stellari, The Mandalorian aveva usato un fan service molto dichiarato per mettere in scena una storia semplice: un mandaloriano, che per questioni di costumi e mestiere rimandava al famoso Boba Fett della saga originale, si trovava a dover proteggere un bambino della stessa specie del Maestro Yoda, con la speranza di riuscire a consegnarlo a qualche jedi rimasto in vita.

Una storia drittissima. L’uso di personaggi che rimandavano in maniera chiara a un’iconografia ormai leggendaria (fino al recupero, addirittura, di Luke Skywalker). Un’impostazione western che ben si sposava con l’esigenza di un intrattenimento semplice e gagliardo, in un contesto che sapeva di frontiera. Pure un approccio comico/tenero che, partendo dall’affetto per il piccolo Grogu, abbracciava anche l’anima più “peluchosa” di Star Wars.

Insomma, fan service, ma fatto bene, con coscienza e con mezzi tecnici adeguati.

Poi è successo che sono arrivati anche altri prodotti.
Due di questi hanno floppato, con particolare dolore per la pochezza di Obi Wan Kenobi. Poi però è arrivata Andor, capace immediatamente di dividere. Per qualcuno, una serie così adulta e stratificata dovrebbe essere la naturale evoluzione di Star Wars, per qualcun altro ne rappresenta invece un’appendice troppo estrema, lontana dallo spirito delle origini.

Un po’ di verità, come avevamo visto all’epoca, sta in entrambe le versioni, ma quello che oggi ci interessa è l’influenza che Andor ha avuto sulla nostra percezione di The Mandalorian.
In particolare, alla visione di questo episodio non ho potuto fare a meno di pensare a uno spostamento da “unica serie live action di Star Wars, capace di riscattare certi difetti degli ultimi film”, a “la serie piena di pupazzi”.
Che non necessariamente è un problema, ma mi sembra un posizionamento rilevante.

La terza stagione di The Mandalorian prende le mosse dalla fine della precedente, quando Grogu aveva deciso di mollare Luke per stare col protagonista, che a sua volta aveva messo in discussione la sua appartenenza all’ordine mandaloriano togliendosi il casco davanti al suo giovane amico verde.

(Inutile sottolineare come due fra le migliori, recenti amicizie del piccolo schermo fra un uomo adulto e un/una giovane apprendista, abbiano entrambe in comune Pedro Pascal)

Per redimere la propria colpa, Din Djarin dovrebbe riuscire a tornare su Mandalore (pianeta teoricamente reso inabitabile) e immergersi in certe sacre acque che potrebbero ripulirlo dal peccato a mo di battesimo.
Per fare questo, però, il buon Mando fare un tot di altre cose: trovare il pianeta; ri-ottenere l’aiuto del droide IG-11; che avevamo conosciuto a inizio serie e nel frattempo è mezzo esploso e poi diventato una statua; incontrare di nuovo Bo-Katan (Katee Sackhoff), che langue senza scopo e senza squadra su un trono desolato.

In tutto questo, poi, ecco tornare vecchi personaggi che hanno fatto carriera (Greef Karga), ecco un po’ di pirati e di inseguimenti (fra cui un capo-pirata che sembra Davy Jones de I Pirati dei Caraibi), ecco un enorme coccodrillo che interrompe una cerimonia di mandaloriani con effettoni specialoni e laser dappertutto.

Insomma, tanta carne al fuoco e molto spettacolo nel senso più visivo e caciarone del termine, con però qualche vistoso problema di tenuta.

Dal punto di vista della messa in scena e della capacità di sottolineare il carisma dei suoi personaggi, questo episodio di The Mandalorian è buono come sempre, e il semplice ritrovare Din Djarin e Grogu è motivo di gioia pucciosa.

Allo stesso tempo, però, le prime due stagioni della serie avevano un’impostazione e una direzione precise, che partivano dalla necessità di aiutare Grogu e lo seguivano in un viaggio in cui la “mandalorianità” di Din Djarin era una specie di gustosa sottostoria dietro la trama principale.
Due stagioni con una strada già tracciata, sulla quale innestare il suddetto fan service all’ennesima potenza.

Con la terza stagione, la prima missione di Din Djarin è finita, e ora quella che era la sottostoria diventa la trama principale: non c’è più nessuno da proteggere, se non l’onore di Mando.
Il problema è che questa storia è palesemente più debole, e il modo in cui viene artificialmente complicata (per esempio con l’ostinazione per il recupero di IG-11, che non mi pareva così fondamentale) ci trasmette una fastidiosa sensazione di brodo che si allunga.

Percepiamo, insomma, che questa stagione esiste più per il successo delle precedenti, che non per specifiche esigenze narrative, e mi chiedo se questo interesse specifico per le sorti “aziendali” di Din Djarin non sia qualcosa di cui ci interessa il giusto, e che soprattutto pone i personaggi nell’ottica di andarsi a cercare i guai, invece di reagire a una pressante minaccia.

L’arrivo di questa stagione dopo Andor, poi, complica ulteriormente le cose.
Non perché The Mandalorian dovrebbe uniformarsi allo stile di Andor, cosa che non avrebbe senso. Ma perché – questo sì – Andor ha alzato il livello della qualità strettamente narrativa delle serie a marchio Star Wars, costruendo un’epica grossa, ariosa, potente, al confronto della quale la redenzione puramente burocratica di Din Djarin con i mandaloriani appare inevitabilmente molto meno interessante.

Per questo, di nuovo, più che “la serie che riscatta Star Wars“, in questo ritorno The Mandalorian è sembrata molto più semplicemente “quella coi pupazzi”. La serie, cioè, che per il suo approccio più largo e fiabesco presenta al suo pubblico i maggiori sprazzi di ironia e tenerezza (si vedano per esempio gli anzellan, le creaturine che aiutano i nostri nella riparazione del droide).

Questo non è un problema di per sé, va benissimo che The Mandalorian resti la serie coi pupazzi, anche perché Grogu è un pupazzo e se ce lo togliessero scenderemmo in piazza.

Solo che prima The Mandalorian era la serie dei pupazzi E la serie ben scritta e ben girata E la serie in cui il destino dei personaggi era per noi molto importante E… E… E…
Ora invece, con una storia che pare più debole e con il tarlo di aver visto anche un’altra poderosa serialità starwarsiana, il rischio è che questa stagione di The Mandalorian, più che un evento buono per emozionarci ogni settimana, diventi una stagione fin troppo “normale”, incapace di reggere il confronto con i suoi capitoli precedenti e con le potenzialità più ampie che abbiamo intravisto nelle versioni seriali del franchise.

Non resta che attendere, sperando che nelle pieghe della storia si annidi un twist che permetta di andare oltre una semplice questione di battesimi e caschi (Jon Favreau, peraltro, ha dichiarato di aver già scritto anche la quarta stagione!).
A fine stagione conteremo le volte in cui The Mandalorian ha saputo farci battere il cuore più forte, e tireremo le somme.



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