10 Ottobre 2023

Everything Now su Netflix: tra Euphoria, Heartstopper e Sex Education di Diego Castelli

Beghe adolescenziali, disturbi alimentari, sesso, alcol e ormoni guizzanti. Diciamo che qualche campanello ci suona.

Pilot

Non saprei dire se, negli uffici di Netflix, ci sia stata una vera e propria presa di coscienza del tipo: “Abbiamo finito Sex Education, ci rimane solo Heartstopper, e la gente sta ancora in fissa con Euphoria anche se la tirano fuori col contagocce manco fosse un calcolo renale, quindi adesso noi ci inventiamo una cosa che pesca ancora in quel mondo lì, giusto per non perdere la presa su quel pubblico”.

Può anche essere che non sia così (anche se è del tutto probabile che Netflix sappia in ogni momento quante e quali serie ha in ballo per ogni tipo di pubblico), ma resta il fatto che la coincidenza è vistosa e che Everything Now ha davvero il sapore di prodotti che su Netflix abbiamo già visto e pure apprezzato, con la palese intenzione di mettersi in scia.

La cosa buona è che Everything Now, pur coi suoi limiti, ha effettivamente qualcosa di personale da dire.

La protagonista assoluta è Mia Polanco, interpretata da Sophie Wilde, una ragazza sedicenne che, dopo aver passato sette mesi in clinica per uscire dal tunnel dell’anoressia, torna dalla sua famiglia e soprattutto a scuola, rivedendo il gruppo di amici di sempre.

Mia non vedeva l’ora di tornare alla vita vera, e si è anche scritta una lista di cose che vorrebbe fare ora che è finalmente libera (immagino che inizialmente questa lista dovesse essere il fulcro della storia, tanto che la serie doveva chiamarsi “The F**k It Bucket“, cioè la lista dei vaffanculo, ma a conti fatti non è così centrale nella trama e hanno preferito cambiare direttamente il nome della serie).

Il problema è che, ovviamente, le cose non vanno via lisce come la ragazza aveva sperato. Lei è cambiata, perché si porta dietro un bagaglio che non può sparire dall’oggi al domani. Ma anche le persone intorno a lei sono diverse, perché sette mesi per degli adolescenti non sono pochi, e perché ora, inevitabilmente, la guardano con occhi nuovi, che siano preoccupati, pietosi o disgustati.

Il “tutto subito” del titolo non è altro che il principale desiderio di Mia, cioè quello di bruciare le tappe per poter riavere indietro la sua vita per intero, e la serie si fonda sulle difficoltà di raggiungere quell’obiettivo, perché la realtà, spesso e volentieri, è un po’ più stronza della fantasia.

Prima accennavo ai limiti di Everything Now, che sono presto detti. Sarà per la sua netta somiglianza con Heartstopper e Sex Education (cosa che gli toglie inevitabilmente un pizzico di originalità), o sarà per la scelta abbastanza deliberata di non indulgere in strane sperimentazioni, preferendo la via di un teen drama complessivamente ordinario, fatto sta che Everything Now difficilmente può uscire dal suo orticello di cose fatte a modino, ma senza particolari guizzi.

Il paragone con Euphoria, poi, viene spontaneo più che altro per la scelta di trattare temi potenzialmente forti in un contesto di adolescenza, ma manca completamente (di nuovo, scelta deliberata e legittima) la volontà di colpire duro lo spettatore con estremi di disagio e violenza atti a sfondare la parete che divide la realtà dall’arte e dalla poesia.

Insomma, Everything Now (che è creata da Ripley Parker, una nata del 2000 che mi farebbe invidia, ma che poi è la figlia di Thandie Newton e quindi è raccomandata e ci fa dormire la notte) è una serie come altre ne sono passate su Netflix e altrove, un teen drama che racconta della paura (ma anche della fretta) di crescere, che mescola i problemi dei ragazzi con quelli dei loro genitori, che prova a costruire la classica alternanza fra ansie, paure e rancori da una parte, e aspirazioni, sogni, improvvise gioie e illuminazioni dall’altra.

Una cosina in più, però, ce l’ha.

Everything Now parte infatti dall’anoressia, e invece di raccontarci la malattia ce ne racconta la fase successiva, quella del ritorno alla vita nonché naturalmente, della possibile ricaduta.

Quello dell’anoressia e dei disturbi alimentari è un tema non così dibattuto dal cinema e dalle serie tv, o che per lo meno non viene messo spesso al centro del racconto, non al confronto di altri problemi dell’adolescenza (e non solo adolescenza) come possono essere l’alcol, le droghe, o le questioni legate all’identità di genere, che furoreggiano in questi anni.

L’anoressia, probabilmente, è un tema così delicato che come fai sbagli, e metterla al centro di tutto, fondandoci sopra l’intera esperienza della protagonista, si porta tuttora dietro un che di coraggioso.

Sarà forse questo il motivo per cui Everything Now, invece di percorrere la strada della sperimentazione, sceglie invece un tono largamente didascalico, lasciando alle immagini e ai pensieri della protagonista (raccontati direttamente con voce fuori campo) il compito di descrivere con precisione e poche ambiguità il grumo di pensieri che si agitano nella mente di Mia.

Se solitamente consideriamo l’approccio didascalico alla narrazione come un difetto senza se e senza ma, in questo caso mi sento di fare un’eccezione, proprio perché il tema di fondo, relativamente poco dibattuto, non corre il rischio di sembrare ripetitivo e già sentito, e anzi chiama una trattazione che sia chiara, e che lo sia anche e soprattutto per spettatori e spettatrici più giovani (a cui Everything Now certamente punta), che hanno bisogno di certezze e informazioni specifiche.

Sono molti i punti in cui, guardando la serie dal punto di vista di persone adulte e senza particolari problemi, ci verrebbe da considerare strano il comportamento di Mia, senza comprendere il motivo di certi suoi scatti e certi suoi disagi.
Che poi è la stessa cosa che sempre ci capita quando ci troviamo di fronte a situazioni (soprattutto di disagio psicologico) che non sappiamo comprendere ma che ci ostiniamo a valutare con gli strumenti del nostro vissuto.

Il lavoro che la sceneggiatura di Everything Now mette in campo nel raccontare la mente di Mia e le sue cure (gestite da un ottimo Stephen Fry) è prezioso perché ci sfida a cogliere le sfumature, le crepe, ci mette davanti a una realtà mentale che magari non è la nostra, ma che esiste, e che ha effettivamente una sua logica, una volta che si comprendono le strutture su cui si basa (e parliamo qui di tanti temi come il rapporto con il proprio corpo, lo sguardo e il giudizio degli altri, le difficoltà di essere percepite come vittime, e via dicendo).

Se dovessimo trovare il vero valore di Everything Now, che altrimenti sarebbe un teen drama come tanti, è che soprattutto nei primi episodi si impegna molto per aprire la nostra consapevolezza a situazioni che non siamo abituati a maneggiare e che però ha molto senso conoscere, pur nelle limitate possibilità della fiction.
Non vi so dire se la realtà sia effettivamente così, non so dire quando Everything Now, nel trattare gli argomenti che tratta, sia “accurata”. Intanto, però, ci insegna a smontare i nostri preconcetti, provando ad assumere punti di vista diversi e scomodi. E va già bene così.

In tutta onestà, dobbiamo anche rilevare qualche paraculaggine, qualche compromesso che la serie accetta per essere comunque… una serie di Netflix che possa raggiungere un pubblico ampio e che sia almeno un poco glamour.

Da qui deriva il casting della protagonista, a cui basta un po’ di sapone e due brillantini per diventare una stragnocca come probabilmente molte ragazze si sognano. E non è una questione di poco conto, perché se la ripresa del personaggio passa anche dalla possibilità di trovare l’amore e sperimentare il sesso, è perché evidentemente può. Sondare le ancor minori chance di un personaggio ancora più realistico, sarebbe stato probabilmente “troppo” per la piacevolezza complessiva dello show.

Idem, naturalmente, per la perenne e ormai stucchevolissima inclusività che abbraccia i giovani personaggi Netflix: non è più possibile, per la piattaforma, mettere insieme più di 4-5 ragazzi alla volta, senza che diventino tutti iper-fluidi, capaci di innamorarsi di chiunque a prescindere dal genere, senza mai farsi mezza domanda.

Niente di male di per sé, naturalmente, perché questo livello di varietà non è più finto della bellezza sopraffina di TUTTI i bagnini e la bagnine di Baywatch. Trovo però che, come dicevamo poco sopra, siano scelte un po’ più vistose per una serie che vuole affrontare un tema molto reale e molto vero: di nuovo, mi viene da pensare che le difficoltà affrontate dalla protagonista vengano stemperate da un ambiente super bello e super inclusivo, che nella realtà non si trova così spesso, rischiando di far scattare il vaffa da chi quelle storie le vive davvero.

Ma fra questo problema e l’opportunità offerta agli spettatori-anime-belle di avvicinare in sicurezza sfumature della vita che altrimenti faticherebbero a contemplare, vince comunque la seconda.

Perché seguire Everything Now: affronta un tema delicato con un piglio quasi divulgativo che alla fine risulta vincente.
Perché mollare Everything Now: Al suo cuore, e soprattutto con l’andare degli episodi, resta un teen drama abbastanza ordinario.



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