11 Dicembre 2023

Obliterated su Netflix – Fra Jack Ryan e Una notte da Leoni di Diego Castelli

Una serie tamarrissima per chi cerca un Natale di tranquilla violenza

Pilot

Fra le mille angolazioni dalle quali è possibile valutare un qualunque prodotto culturale/di intrattenimento, una delle più importanti è quella relativa alla funzione che assolve.
Un certo prodotto viene pensato e costruito per rispondere a uno specifico bisogno, e per questo ha senso valutarlo (anche) sulla base di quell’intenzione più o meno dichiarata, per capire se quel bisogno esisteva veramente e se è stato effettivamente soddisfatto.
Poi certo, ci sono anche le considerazioni sull’arte e tutto il resto, ma ci siamo capiti.

Obliterated, serie di Netflix creata dallo stesso team di Cobra Kai (Jon Hurwitz, Hayden Schlossberg e Josh Heald) si presta particolarmente bene a questo discorso, perché è una tamarrata allucinante, pensata per essere una tamarrata allucinante, diretta a chi cerca una tamarrata allucinante.
Viva la consapevolezza.

Il non brillantissimo eppure esplicativo sottotitolo italiano (“Una notte da panico”) suggerisce il formato dell’operazione: otto episodi che raccontano un’unica notte a Las Vegas, in cui una squadra speciale appositamente formata con il meglio dell’esercito deve compiere una missione assai importante, ovvero impedire la vendita e l’esplosione di una bomba nucleare nella città del vizio.

Il succo della faccenda è che i problemi, per i protagonisti guidati da Ava (Shelley Hennig), non vengono tanto dalla difficoltà dell’operazione, che anzi sembra essere risolta già nella prima scena del pilot. Il problema è che, quando la missione si rivela non-ancora-del-tutto-conclusa, i nostri hanno già festeggiato, trovandosi così costretti a tornare immediatamente in azione dopo essersi spaccati di alcol e droghe.

Ecco dunque che il prosieguo della vicenda assume i contorni grotteschi di una Mission: Impossible tutta sballata, in cui la professionalità va a farsi benedire, le questioni personali dei personaggi affiorano senza più filtri, e fermare i terroristi diventa un mezzo circo di pallottole, battute grevi e allucinazioni da LSD.

Si diceva della funzione e delle dichiarazioni di intenti.
Bastano poche inquadrature per capire il tipo di intrattenimento che Obliterated ha da offrire, anche prima che i protagonisti si dedichino ai festeggiamenti. Qualunque vaga pretesa di realismo è spazzata via da un’azione spara-spara e picchia-picchia che si bea della propria esageratezza muscolare, condendola con un patriottismo americano quasi isterico che è evidentemente autoironico, anche se temo non sarà letto come tale da una buona fetta di pubblico.

Quando poi effettivamente si arriva alla festa, Obliterated ci mostra tutto il suo arsenale super trash: tette, culi, pettorali, pallottole, bicipiti e testosterone ovunque.
C’è perfino il tentativo di creare una sorta di versione virile della (a volte stucchevole) inclusività da Netflix: per esempio (faccio uno spoilerino) c’è Trunk (Terrence Terrell), che ha finora nascosto dietro il suo aspetto guerrersco l’identità omosessuale, e che nel rivelarla suo malgrado dà vita a una serie di gag sempre piuttosto becere ma mai effettivamente offensive. Idem per Angela (Paola Lázaro), l’esperta cecchina che è ispanica e lesbica, ma che pur nel suo flaggare un paio di caselle inclusive non si dimentica mai di far parte di uno show intrinsecamente esagerato.

Dati questi intenti così dichiarati, espliciti, mai in discussione, bisogna riconoscere a Obliterated la capacità di raggiungerli con grande precisione. L’inevitabile fastidio che alcuni spettatori proveranno nel trovarsi di fronte un tale esagerato carrozzone, è lo specchio dell’entusiasmo spensierato che altri sperimenteranno nel seguire una storia lineare e semplicissima, farcita di momenti orgogliosamente fuori di testa.

Poi certo, questo non significa che Obliterated non abbia alcun problema anche all’interno della cornice in cui si autoinserisce.
Per esempio, il tentativo di inserire un paio di linee “davvero” romantiche funziona solo in parte, perché il tipo di narrazione e di stile grezzone faticano a lasciare grande spazio a un’emozione più… spirituale.
Allo stesso modo, pur in presenza di un ritmo sempre sostenuto, la prima parte della stagione è più efficace della seconda, come se la maggior parte delle buone idee fossero state condensate all’inizio, per agganciare a dovere il pubblico sapendo che poi, anche con un leggero calo, non avrebbe abbandonato la stagione a metà.

In ultimo, vale la pena fare una considerazione sulle modalità di fruizione. Come al solito, Obliterated arriva su Netflix con tutti gli episodi, ma questo mi sembra davvero un caso in cui valga la pena prendersela comoda.
Al netto del desiderio di vedere come va a finire, questa è una serie che vive di singoli momenti, specifiche invenzioni, una battuta maschia qui e una scazzottata là. Farne un’abbuffata rischia di diventare troppo, un po’ come la differenza fra godersi un cioccolatino al giorno per una settimana e mangiarne 26 in sette minuti.

Naturalmente non stiamo parlando del capolavoro della vita, ma questo genere, in questa forma, non è poi così battuto, e anche il Natale, qui e là, va addobbato con un po’ di violenza (anche se fra poco torna Reacher, e già mi frego le mani…).

Perché seguire Obliterated: è un divertimento stupidone che si vanta di esserlo, e in questo funziona.
Perché mollare Obliterated: potrebbe facilmente superare la vostra soglia di tamarraggine accettabile.



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