27 Dicembre 2023

Percy Jackson and the Olympians – La seconda è quella buona? di Diego Castelli

Dopo due film di successo così così, la saga letteraria di Rick Riordan approda al formato seriale e lo fa con una certa onestà

Pilot

Da qualche anno gira su internet un meme, solitamente con protagonista Lisa Simpson, che enuncia quella che io credo essere una sacrosanta verità: invece che produrre remake di film e serie che hanno già funzionato alla grande (e che quindi diventano pesantissima pietra di paragone per qualunque copia), bisognerebbe concentrarsi su nuove messe in scena di film e serie che partivano da buone idee, ma che per qualche motivo non erano “venuti bene”.

Mi piace pensare che questa sia l’origine della serie tv su Percy Jackson e gli dèi dell’Olimpo, famosa saga letteraria di Rick Riordan che al cinema ci è in effetti già arrivata per ben due volte, con risultati però piuttosto modesti sia in senso commerciale che artistico.

Poi non lo so se è andata veramente così, considerando che leggo che Riordan ha dovuto fare un pitch alla Disney, quindi insomma, “vendere” la sua idea a Topolino & Co., e la cosa mi fa strano perché mi viene da pensare “ma scusate, non sapevate già chi era Percy Jackson?”
Ma evidentemente non ne so abbastanza di queste dinamiche, quindi passiamo oltre.

A guardare la trama di Percy Jackson troviamo una struttura classicissima per storie di questo tipo, di genere fantasy e dedicate a un pubblico molto giovane. Considerando inoltre che il primo capitolo è uscito nel 2005, difficile non vederci un (legittimo) desiderio di infilarsi in qualche modo nel solco tracciato da Harry Potter, la cui saga al tempo doveva ancora essere terminata.

Percy è un ragazzino qualunque, un po’ sfigato, variamente bullizzato, che non ha mai conosciuto il padre, mentre la madre nel frattempo si è messa insieme a un cretino. Oltre ai problemi che già aveva, alla soglia dei dodici anni Percy rimane invischiato in alcune stranezze su cui si interroga lui per primo: ha delle specie di visioni in cui scorge creature irreali, talvolta non riesce a leggere certi testi perché le lettere vanno tutte insieme (sintomi classici di dislessia), vede e parla con persone che poi, a quanto pare, non esistono.

Ce ne sarebbe abbastanza per una bella adolescenza di logopedisti, psichiatria e psicofarmaci, se non fosse che, naturalmente, il fantastico è dietro l’angolo: si scopre infatti che Percy è niente meno che figlio di un dio greco che anni prima aveva sedotto sua madre, e ora che sta entrando nell’adolescenza sta mostrando i primi segni di una semi-divinità che potrebbe garantirgli grandi poteri e opportunità, ma anche rischi. In agguato, infatti, ci sono forze del male che mal digeriscono la comparsa sulla scena di nuovi potenziali eroi (cosa che spesso accade di diventare ai semidèi, proprio come il Perseo di cui Percy prende il nome), e che appena si accorgono di un nuovo fanciullo speciale gli danno la caccia per ucciderlo.

Siamo ancora nei primi due episodi della serie, anzi del primo, dopo il quale Percy entra effettivamente in un modo magico e divino in cui il nostro deve prendere coscienza della sua natura eccezionale, senza per questo eliminare qualunque ostacolo.

Non solo, come detto, ci sono mostri che vogliono ucciderlo, ma Percy deve ancora scoprire chi è il suo vero padre, deve addestrarsi per comprendere i suoi doni, deve gestire altri ragazzi e ragazze come lui che non sono sempre amichevoli, e deve infine accettare una particolare missione che, nonostante la sua iniziale riluttanza, gli permetterà di perseguire un obiettivo a cui tiene molto, buttandolo a capofitto nell’avventura.

Devo ammettere che mi ricordo poco dei due film su Percy Jackson che vidi all’epoca al cinema, e non ho letto i romanzi, però a guardare questi due episodi mi sembra evidente che la forma seriale sia la casa giusta per una saga di questo tipo (ed è un ragionamento che valeva, vale e varrà anche per Harry Potter).
Troppi dettagli, troppi personaggi, troppe creature e incantesimi e oggetti magici per rimanere confinati in un film di due ore.

Basta guardare quanto sono densi questi due primi episodi, che insieme contano per circa un’ora e un quarto e che solo introducendo la vicenda hanno già raccontato moltissimo, senza momenti morti, senza grosse pause, mettendo insieme i tasselli che compongono la psicologia di Percy e il suo ingresso in un mondo completamente “altro”, che poi rappresenta il cuore di questo genere di operazioni.

A guardarlo con l’occhio disincantato, forse un po’ cinico, dell’adulto, a gente come Percy e Harry Potter va tutto troppo bene, con una vita scialba e fondamentalmente triste squarciata da una rivelazione eccezionale che li catapulta in un universo di sogno dove sì, ci sono pericolo anche mortali, ma che rappresentano un piccolo prezzo da pagare per uscire dall’apatia.
Ma il concetto è proprio questo: dare a un pubblico giovane e possibilmente sfigatino e speranzoso lo spazio per immaginarsi altrove, per elevarsi dalla propria condizione e raggiungere un qualche tipo di firmamento, per sperimantare la propria identità in situazioni che mai vivranno, ma che diventano metafora e allenamento per ciò che effettivamente si vorrebbe essere.

Percy Jackson and the Olympians mi sembra riuscire bene in questa missione, proprio perché non ti lascia tantissimo tempo per pensare, e ti spara in questo mondo di dèi e mostri dandoti giusto il tempo di godertela.

Il tono è complessivamente abbastanza leggero, come ci si aspetta da una serie per ragazzi, e anche alcuni momenti potenzialmente molto dammatici sono diluiti nell’accompagnamento a un ragazzo che ha effettivamente un certo ardore eroico, una certa predisposizione all’avventura, ben supportata da amici che si scoprono satiri, anziani che si trasformano in centauri, e una sorta di accademia che, naturalmente, non prevede il polveroso studio sui libri, ma avvincenti battaglie nei boschi.

Il tutto supportato da una messa in scena di buon livello. La serie, co-creata dallo stesso Rick Riordan e da
Jonathan E. Steinberg, è diretta nei primi due episodi da James Bobin, già regista di Alice attraverso lo specchio.
Bobin, in maniera non sorprendente per una serie Disney, sceglie una regia abbastanza classica, senza grandi sperimentazioni, che si accontenta di raccontare le molte vicende nel modo più chiaro possibile. Allo stesso tempo, c’è un buon gusto per il fantastico, soprattutto quando si tratta di raccontare la sorpresa di elementi mitologici che irrompono nel quotidiano, e gli effetti speciali sono complessivamente di buon livello.

Non manca naturalmente qualche difetto e qualche immancabile polemica.
Dopo due episodi, non sono ancora convintissimo del protagonista, Walker Scobell, che ha certamente la faccia giusta, ma che dà vita a un Percy un filino monoespressivo, che forse avrei preferito più ampio nelle sue reazioni iniziali a certi fatti fra il drammatico e il meraviglioso.
Poi devo dire, pienamente conscio del fatto che si tratti probabilmente di pippe mentali, che certi elementi appaiono inevitabilmente invecchiati: nel 2023 mi è più difficile, rispetto al 2005, guardare Sally, la madre di Percy (Virginia Kull), che sta un cretino nullafacente. Immagino che oggi, con tutti i discorsi che si fanno sul ruolo delle donne, mi faccia più impressione di prima vedere una donna che, apparentemente non obbligata da nessuno, sceglie di stare con un idiota (ma magari poi me la spiegano meglio, non saprei).

Le polemiche sono le solite: Annabeth, figlia di Athena che diventa amica di Percy, nel romanzo è bianca e nel film era interpretata da Alexandra D’Addario, che la faccia da semidea effettivamente ce l’ha. Nella serie arriva Leah Jeffries, che cambia il “posizionamento etnico” del personaggio rispetto al libro (ma si può dire “posizionamento etcnico”?) e manda anche vibe diverse dalla D’Addario rispetto al film (in generale, tutti gli attori e attrici del film erano più adulti rispetto ai romanzi).

Sono polemiche che registro per dovere di cronaca, ognuno poi la pensi come vuole, io non ho letto i romanzi e mi ricordo a stento i film, quindi non ci trovo granché di strano a guardare una serie per dodicenni interpretata da dodicenni o giù di lì.

Insomma, per me al momento promossa. Una serie fantasy di buoni mezzi, che bada al sodo, che magari non si inventa moltissimo (specie in termini di macro-strutture), ma che uscendo sotto Natale si fa facilmente carico di tutto un desiderio di escapismo fantastico che ci sta come cacio sui maccheroni.

Il fatto che io abbia usato l’espressione “cacio sui maccheroni”, peraltro, fa capire come io non sia minimamente il target di una serie del genere, ma non mi pare difficile tornare un po’ bambini quando lo spettacolo che ti viene messo davanti agli occhi ha una solidità di idea e di scrittura che trascende il suo target infantile per essere, sempllicemente, una storia ben raccontata.

Poi oh, per adesso. Vedremo ora della fine.

Perché seguire Percy Jackson and the Olympians: fa il suo mestiere di serie fantasy per ragazzi, e mi sembra che possa gestire meglio la densità narrativa e immaginifica di una saga letteraria come quella di Rick Riordan.
Perché mollare Percy Jackson and the Olympians: resta una serie per un pubblico molto giovane, e per guardarla da adulti bisogna impegnarsi a fare quel piccolo passo mentale che serve a tornare bambini.



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