7 Dicembre 2011

Lip Service – Frankie goes (back) to Glasgow di Vale Marla Morganti

Vi ricordate di Lip Service? Ecco, la prima stagione merita

Brit, Copertina, On Air

Inizio con quello che il Villa m’ha detto in riferimento alla sua recensione sul Pilota di Lip Service “mai fidarti di un uomo che parla di qualcosa in cui succede qualcosa di lesbo. Mai.”. Io del Villa non mi fido di base, quindi decido di fidarmi quando mi dice di non fidarmi di lui, delle sue buone speranze riposte nel telefilm, mi fido del fatto che un tema così “scottante” vada in prima serata su BBC3 e lascio che la mia mente venga stuzzicata dal tema dell’omosessualità, spesso abusato nelle serie a livello di sottotrame o personaggi secondari e spesso macchiettari (non marchettari eh!) ma quasi mai come tema portante e ambiente globale della serie, quindi nella mia stuzzicata mente si insinua il pensiero che magari anche dal punto di vista di storie, legami, relazioni ci possa essere chessò qualcosa di diverso da tutto quello già visto.
E penso, dopo aver visto la prima stagione, che abbia bisogno di una spinta che faccia superare le perplessità emerse dopo il pilot.

Prodotto Brit, quindi secondo me di qualità solo per marchio di provenienza garantito, belle le location graffianti da città scozzese, bello l’accento rude da periferia UK che ti fa scivolare inconsciamente in questo mood da storia e realtà borderline (un po’ alla Skins).
Come aveva previsto il Villa il tutto gira intorno a Frankie, ossia quel metro e ottanta di figa lituana, che torna alla dimora natale, Glasgow, dalla quale era fuggita due anni prima direzione-New-York senza lasciare spiegazioni ma lasciando persone, persone ferite, persone ferite senza spiegazioni, quindi al suo ritorno ritrova persone, per lo più ferite che vogliono lei e da lei spiegazioni.

E sì, sono un po’ le solite storie di trentenni senza scopi e senza meta. Frankie è una fotografa, una trentenne ancora in sindrome postadolescenziale che calpesta senza grazia i cuori di chiunque incontri sul suo tracciato, con quella foga da 18 enne ancora in cerca di se stessa, dell’amore, del suo primo amore, della felicità, di un equilibrio. Frankie trasuda tanta di quella disperazione, mal de vivre, disagio, che non riesci a guardarla male, a darle qualche colpa, a non sperare che riesca a rimettersi con la sua ex, che però nel frattempo s’è rifatta una vita; che riesca a farsi l’amico etero, che sta per andare a vivere con la compagna; che riesca a non insospettire la nuova ragazza che si fa, con questo suo troieggiare a destra e sinistra; che riesca a scoprire qualcosa sui suoi genitori, anche se dall’inizio sai che era meglio non si impicciasse.

Non poche le critiche sull’aver dipinto il mondo lesbo come troppo promiscuo e leggero, ma dal mio punto di vista poco c’è di diverso da una serie “straight”, dove se ci son da far accoppiare personaggi a caso di certo non si lesina, con l’unica differenza è che per lo più sono femmine quelle che si accoppiano. Anche se, per smorzare l’entusiasmo della componente maschile di questo sito, posso dire che la sindrome da copulata cronica e compulsiva non è il punto centrale della narrazione. Sì, perché Frankie non si porta appresso solo la sfrenata voglia di farsi ogni essere vivente in città, ma anche il bel drammone psicogeno della giovane sbandata con problemi relazionali, derivati dalla mancanza di un nucleo famigliare stabile. La storiella dell’orfanella allevata dagli zii puzza un po’ a tutti, soprattutto a Frankie, che inizia a scavare nel passato suo e altrui e a scoprire voragini, menzogne e pezze. La ricerca delle sue origini diventa quindi non solo un modo per giustificare (in parte) il suo badassbehaviour, ma anche uno stratagemma per conferire al plot un pattern più strutturato e far crescere personaggi e narrazione (scusate i francesismi). Insomma un modo per parlare di qualcosa di più consistente e all’apparenza studiato che delle serate al bar o le feste di compleanno a tema non desiderate, o le trombate di Frankie.

La serie finisce con un triplo salto mortale carpiato che ben fa sperare per la prossima stagione (già registrata, ma non ci sono ancora date per la messa in onda della S02E01). Dovrebbe comunque arrivare sui nostri schermi, o meglio su quelli di BBC Three, a inizio 2012. Agli sviluppi delle trame vengono aggiunti nuovi personaggi, che certamente contribuiranno ad aumentare le complicazioni tra i vari rapporti, e nuovi tipi di relazioni, come un dottore gay che dovrebbe aprire nuove dimensioni di senso (e sesso).

“Sono entusiasta perché questa seconda stagione mi ha dato la possibilità da una parte di sviluppare nuove e avvincenti storie per i nostri personaggi, dall’altra di mescolare le cose con volti nuovi e intriganti. Ho nella manica svolte, colpi di scena e sorprese” Così dice Harriet Braun, che nei titoli compare dietro il written and created by, e decido di fidarmi di lei, anche se con riserva. Perché si sa che “ogni scarrafone è bello a mamma soja” e che non sempre aggiungere troppo pepe e troppo sale a una minestra già buona di suo porta a risultati altrettanto buoni, come tutte quelle serie vedi Grey’s Anatomy, Gossip Girl, One Tree Hill, che si riempiono di fastidiosissimi personaggi a caso che null’altro fanno se non aggiungere inutile ciccia ad arrosti che già di grasso colano disturbando la masticazione e successivamente la digestione. Il mio consiglio per tutti è quello di approfittare della pausa invernale che svuota i palinsesti “come d’autunno sugli alberi le foglie” e divorarsi la prima stagione, che, se vi fidate di me, è una certezza.

Ps. scusate per le fastidiose similitudini culinarie ma sto facendo un programma di cucina (Cambio Cuoco, Lei, 127 Sky ogni venerdì alle 21.00), così se proprio volete trovare un altro modo per occupare il letargo invernale delle serie!!!

 



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