2 Gennaio 2013 3 commenti

Serial Moments #59 – Finale Downton Abbey di Diego Castelli

Grosse sorprese e una speranza per il futuro

Copertina, On Air, Serial Moments


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ATTENZIONE! NON LEGGETE SE NON AVETE VISTO LO SPECIALE DI NATALE DI DOWNTON ABBEY!

Questa doveva essere l’unica settimana dell’anno senza serial moments, considerando che non c’è stato uno straccio di serie manco a pagarla. In realtà, in nostro aiuto sono arrivati gli inglesi, che come l’anno scorso hanno mandato in onda lo speciale natalizio di Downton Abbey.
Lo chiamano “speciale natalizio”, ma in realtà è proprio un finale di stagione, un doppio episodio denso di avvenimenti oltremodo importanti e non una semplice occasione per riunirsi e cantare le canzoni di Natale.

Se l’anno scorso lo speciale era stato dichiaratamente gioioso, con il coronamento della storia d’amore tra Mary e Matthew, stavolta la cose non sono andate come speravamo. Succede tutto negli ultimissimi minuti, visto che gran parte dell’episodio viene speso tra le lande scozzesi a dar la caccia ai cervi e ad approfondire i difficili rapporti familiari dei “cugini” del nord.
Come fottutamente spoilerato da Repubblica qualche giorno fa, cosa che abbiamo già avuto modo di denunciare su facebook, il finale è a doppio registro: da una parte Mary che partorisce il nuovo erede maschio di casa Grantham-Crawley (che gioia, che letizia!), dall’altra niente popò di meno che la morte di Matthew (che dolore, che mestizia!)

Stavolta, il lieto fine è stato spezzato da forze esterne alla serie, perché è stato proprio l’attore Dan Stevens, interprete di Matthew, a decidere per l’abbandono. E considerando l’importanza del personaggio, e le scelte che aveva già fatto in termini di impegno verso la tenuta ecc ecc, era impensabile trovare una soluzione tipo “è dovuto andare a lavorare all’estero” o simili.
A spiegare il motivo dell’abbandono è stato lo stesso Stevens, in una bella e lunga intervista al Telegraph che non ho alcuna intenzione di riassumere perché mentre scrivo è il primo gennaio, ho sonno e devo aiutare la fidanzata a sistemare casa dopo la baldoria mangerecca del capodanno.
Il concetto di fondo è molto semplice: terminato il contratto di tre anni che aveva firmato con la produzione di Downton, il buon Dan voleva semplicemente fare altro, tornando a recitare in teatro (cosa che sta facendo a New York) , dedicandosi alla scrittura e in generale considerando opportunità diverse – tenendo conto che Downton Abbey l’ha reso uno star, ma rende anche difficile fare qualunque altra cosa, dati i tempi di produzione.

Stevens ci tiene a sottolineare sia il suo amore per Downton, sia la sua necessità di allontanarsene, ma insomma, abbiamo colto.
Quello che ci interessa di più è capire cosa succederà il prossimo anno, anche se, per parte mia, c’è una discreta fiducia. Ho trovato questa stagione leggermente inferiore alla precedente, per due principali motivi: il primo è che la seconda stagione (quella della riconferma, del “la prima ha spaccato, ora dovete reggerne il peso”) aveva potuto sfruttare gli eventi della Grande Guerra, che avevano sconvolto la vita dei protagonisti e dato un sacco di materiale su cui lavorare. Il secondo motivo era proprio la storia d’amore tra Mary e Matthew che, come tutte le storie d’amore, è più interessante quando è contrastata e difficile, piuttosto che sedimentata e incrollabile.
La mancanza di questi due elementi, sostituiti da eventi più ordinari – come il tentativo di salvare Downton dal fallimento – ha reso la terza stagione un po’ meno epocale, anche se ci sono stati due avvenimenti di enorme rilievo: da una parte la straziante e inaspettata morte di Sybil (abbiamo ancora i lacrimoni), dall’altra proprio la dipartita di Matthew, che arriva sul finale dell’episodio finale (scusate il bisticcio di parole) a gettare ombre fosche sul prosieguo della saga. Un finale, tra l’altro, particolarmente “inglese”, in cui sia il parto che l’incidente mortale sono trattati con grande sobrietà (niente urla devastanti, niente “ora spingi, per dio, spingi”, e niente esplosioni di sangue e arti che volano ovunque).
Ma è proprio qui, dal dramma della morte di uno dei protagonisti più amati, che può nascere una dose aggiuntiva di pathos capace di dare nuova linfa alla serie. Perché Downton Abbey non è identificabile in toto con uno dei suoi personaggi, e anzi trae la sua forza proprio dall’essere un racconto estremamente corale, forse il più ampio della televisione attuale.
Morto un Crawley se ne fa un altro, come si suol dire…



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