23 Aprile 2013 15 commenti

Defiance – Altro buco nell’acqua di Diego Castelli

Quanto danaro sprecato…

Copertina, Pilot

UN PO’ DI SPOILER SUL PRIMO EPISODIO CI SONO, MA NIENTE PER CUI VALGA LA PENA PREOCCUPARSI

Niente, questa stagione va così. Non che non ci sia stata qualche novità decente, e su chi e cosa è decente o meno c’è sempre da discutere, tra noi e voi ma anche tra me e il Villa. Ma la sensazione generale di pochezza è abbastanza evidente. Non c’è stato un nuovo Game of Thrones, un nuovo New Girl, un nuovo Homeland. E certe chicche come Utopia sono troppo brevi e di nicchia per fare il botto vero, a prescindere da tutti gli elogi che gli possano piovere addosso.
Avevo speranze per questo Defiance. Perché io sono quello buono, quello che guarda serie che il Villa piuttosto si suicida, quello che ci vuole davvero poco per farlo contento. E poi sono un orfano di Battlestar Galactica sempre pronto ad aggrapparsi a tutto per colmare quel vuoto.
Ecco, purtroppo Defiance non sembra in grado di colmare alcunché, forse le balle, e probabilmente dovevo capirlo già leggendo il creatore della serie, quel Rockne S. O’Bannon che quest’anno mi aveva già deluso con Cult, e che non mi pare abbia chissà quale curriculum (il maggior successo è Farscape, su cui però non sono per nulla esperto).

L’idea produttiva non è neanche male: una serie fantascientifica e action a cui viene affiancato un videogioco multipiattaforma ambientato nello stesso mondo e con una storia almeno in parte compenetrata. Una buona idea, se non fosse che la serie è deludente e che pure il gioco, a quel che leggo in giro, sta facendo storcere più di un naso.

Defiance (la serie) è ambientata in una Terra del futuro dove un sacco di roba interessante è già avvenuta: sette diverse razze aliene, in fuga da un sistema solare ormai distrutto, hanno provato a fare della Terra la loro nuova casa, senza però fare i conti con gli esseri umani. Ne è derivata una lunga guerra che ha cambiato letteralmente volto al pianeta (anche a causa delle tecnologie militari degli alieni, capaci di dar vita a processi di terraformazione), e che ha decimato le forze in campo. Tutto questo però è il passato o, come si dice in questi casi, “materiale da prequel se tutto va bene”. Defiance infatti inizia sedici anni dopo la fine del conflitto, quando le varie razze condividono un pianeta malmesso e in cui bisogna trovare il modo di convivere.

Ovviamente la pace è stata scritta su pezzo di carta, ma non è un ideale sempre e comunque condiviso: le diverse razze si guardano in cagnesco, si fanno i dispetti, si picchiano, si sparano, si truffano l’una l’altra, ognuna coi suoi tratti distintivi, i pro e i contro.
Il tutto con un focus particolare sulla città di Defiance, ovvero la vecchia Saint Louis, che ha ormai cambiato nome e fisionomia fatto salvo che per il famoso arco, rimasto in piedi chissà come ma sicuramente utile per avere qualche bella inquadratura.
La storia è quasi subito abbastanza corale, anche se un protagonista vero c’è: è Jeb Nolan (Grant Bowler), ex soldato di quelli tosti che se ne va in giro con una ragazza aliena adottata anni addietro, e che torna a Defiance giusto in tempo per salvarla da un attacco di cattivoni e diventarne lo sceriffo.

Se in tutta questa descrizione non vi sembra di aver trovato granché di nuovo, tranquilli, il concetto è esattamente questo. Defiance raccoglie a piene mani (più probabilmente con una rete da pesca) temi, strutture, tipologie di personaggi e trucchi visivi da anni di fantascienza cinematografica e televisiva, mescolando il tutto in un calderone molto ambizioso ma di scarso impatto.
L’elemento che forse spiega meglio il problema è la quantità di informazioni che il pilot sembra ansioso di veicolare: in 85 minuti di season premiere lo spettatore è letteralmente bombardato di nomi, date, razze, gadget ipertecnologici, riferimenti a eventi passati che chissà quando (e se) verranno approfonditi.
A prima vista può sembrare normale, il classico set up di un prodotto di fantascienza che necessariamente accoglie lo spettatore in un mondo complesso e articolato. Anzi, più sono le informazioni, e più lo show può sembrare ragionato, approfondito, studiato nei dettagli.

Ma basta poco per rendersi conto che siamo vittima di un trucco: quello che manca è una storia degna di questo nome, delle dinamiche tra i personaggi che possano risultare insieme chiare, appassionanti e passibili di grande sviluppo. Ecco che allora tutti gli altri dettagli, i mille mila nomi di razze e i settecentoquaranta riferimenti alla guerra ormai finita servono solo a gettare fumo negli occhi. Defiance tradisce una regola seguita da quasi tutta la buona fantascienza: effetti speciali, botte di creatività architettonico-ingegneristica e arzigogoli pseudostorici possono essere fondamentali, ma devono essere la cornice di una buona storia, non la storia, altrimenti è solo un circo di luci e spari, buono per venti minuti, non per venti episodi.

Il classico esempio nerd è Star Wars: aggiungendo solo mezz’ora al pilot di Defiance, il primo film di Guerre Stellari raccontò agli spettatori una storia comprensibile, appassionante, divertente, in cui tutti potevano riconoscersi, e lo fece mostrando contemporaneamente una serie di mondi, razze e tecnologie che quegli stessi spettatori non avevano mai visto prima, e che sarebbero presto diventati vere icone del cinema. Defiance, invece, mostra cose già viste dentro una storia per metà banale e per metà incomprensibile.
Ma senza toccare i mostri sacri, basterebbe fare un confronto col tanto bistratto Falling Skies, che nella sua onestà di serie di guerra un po’ retorica è comunque riuscita a costruire una drammaturgia che Defiance in questo momento sembra poter solo sognare.

Probabilmente l’unico a salvarsi in questa inaspettata mediocrità è proprio Jeb Nolan, perché rientra in quella categoria di personaggi un po’ tamarri con pugno e battuta facili che da sempre incontrano il mio affetto quasi in automatico. E non è escluso che in futuro possa regalare qualche bella perla, strappando allo spettatore un sorriso compagnone e qualche piccolo entusiasmo. Ma capirete che se l’unica attrattiva – in una serie che parla di guerre intergalattiche, pianeti devastati e incontro/scontro tra civiltà – è un tizio che scimmiotta un po’ Bruce Willis, evidentemente c’è un problema.
E se tutti (oh ma tutti) gli altri personaggi sono interessanti come una lezione di latino l’ultimo giorno di scuola, nella profondità dell’abisso troviamo ovviamente lei, Julie Benz: sempre inadeguata, sempre monoespressiva, carismatica come un bullone, a cui viene addirittura affidata la parte di una che dovrebbe ispirare la popolazione con discorsi motivazionali ad alto valore morale e patriottico.
Devo dedurne che presto diventerà una serie sui suicidi di massa.

Perché seguirla: se astronavi e pistole al plasma raccolgono la vostra attenzione a prescindere dai modi e dai motivi per cui la gente usa astronavi e pistole al plasma.
Perché mollarla: in questa serie parlano di migliaia di cose, ma sorprendentemente nessuna è interessante. Che uno dice, statisticamente almeno una dovresti prenderla, e invece no…
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