28 Marzo 2014 9 commenti

Black Sails – La miglior serie da “guardare” di Diego Castelli

Poesia per gli occhi nei pirati di Starz

Copertina, On Air

Black Sails (12)
Dopo gli otto episodi della prima stagione, siamo giunti a una conclusione abbastanza inaspettata: Black Sails, nuova serie piratesca di Starz, non è “la miglior serie in circolazione”, ma si è guadagnata di diritto il premio di miglior serie da “guardare”.

Il perché delle virgolette lo spieghiamo a breve. Partiamo dal principio, cioè dal Villa che fa la recensione del pilot. Il socio calca la mano, giustamente, su due aspetti: il primo è il tentativo di Black Sails di allontanarsi dall’unico immaginario piratesco di questi anni, quel Pirati dei Caraibi a cui il Villa è chiaramente allergico, che a me ovviamente non spiace affatto, ma che comunque è un mattone culturale difficile di smuovere. Black Sails alla fine ci riesce, offrendo un racconto che, molto semplicemente, è evidentemente più adulto rispetto alle mirabolanti avventure di Jack Sparrow, che rimangono prodotti per un pubblico (molto) più giovane.
Il secondo aspetto era una certa promessa di sesso e violenza, che sembravano trasudare fuori dai trailer in una specie di rinnovamento dei piaceri più triviali già apprezzati in Spartacus. Il pilot in realtà era un po’ più trattenuto del previsto, e benché qualche spunto più audace si sia visto (vedasi gole squarciate a morsi e spanne di pelo pubico di ex starlette di The Secret Circle), l’intera stagione è rimasta un passo indietro. Sarà anche che ad andare un passo avanti a Spartacus si sarebbe finiti semplicemente nel porno, e probabilmente non si poteva.
A colpire, però, è il fatto che questa aspettativa perde importanza di episodio in episodio, man mano che la serie prende una via che è chiaramente alternativa sia ai suoi cugini televisivi di Starz, sia alle ingombranti pietre di paragone cinematografiche.

Non sono ancora arrivato alla faccenda del “guardare”, un attimo di pazienza.
Black Sails (10) Se guardiamo alla qualità della scrittura, elemento cardine di ogni successo narrativo (soprattutto seriale), Black Sails se la cava bene, pur senza arrivare al capolavoro. Non c’è la raffinatezza dialogica (e le sorprese mortali) di un Game of Thrones, e neppure la forza tragica di un Sons of Anarchy o di un Breaking Bad. Allo stesso tempo, al semplice filo narrativo della ricerca dell’Urca si appendono tante sottostorie trattate con cura, in cui i personaggi trovano una loro dimensione e uno spessore pregevole, e dove tutti gli elementi sembrano andare al loro posto. Quella di Black Sails fatica a essere una narrazione incalzante, di quelle che ti prendono per le palle e ti inchiodano alla sedia, ma difficilmente si potrebbe parlare di noia o di errori pacchiani. Tanto più che un certo apporofondimento “politico” delle vicende piratesche diventa strumento essenziale per sganciare Black Sails dalla tradizione e mostrare il volto oscuro della pirateria, quello in cui ad assaltare le navi ci si va solo ogni tanto, e il resto del tempo lo si passa a lavorare al mantenimento della nave, a gestire rapporti commerciali, a non farsi ammazzare a tradimento o a inserire il pene in donne che ne hanno visti cinquanta solo quella mattina.

Ma se fosse solo per la storia, Black Sails faticherebbe a spiccare. Quello che davvero conto, e finalmente arriviamo al punto cardine, è che Black Sails è un incredibile spettacolo per gli occhi.
Girata nei Cape Town Film Studios di Cape Town, in Sudafrica, la serie di prende tutto (ma tutto) il tempo necessario per assaporare al meglio le sue location e le sue ambientazioni, partendo da una sigla che già di per sé è un esempio di altissimo artigianato.
Abituati come siamo a vedere green screen più i meno improbabili che simulano grossolanamente un giardino di Washington o un parcheggio di New York, nel vedere le ambientazioni di Black Sails non possiamo che tirare una specie di profondo respiro purificatore.
Che si giri in interni o in esterni, e anche se qualche volta gli effetti speciali servono, gli autori di Black Sails cercano maniacalmente di sfruttare ogni goccia di luce naturale che riesca a penetrare tra due assi di legno o sotto le trame di una stoffa. Praticamente ogni inquadratura del telefilm è costruita per restituire il calore, il suono e quasi il profumo di luoghi meravigliosi, pieni di sole, sabbia e vento, come un’estate perenne portata sul nostro piccolo schermo nei grigi giorni d’inverno.
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Questo non significa che la regia di Black Sails sia particolarmente innovativa. Non ci ho visto i guizzi creativi di un True Detective, tanto per dirne una. Ma a stupire è proprio la cura nel dettaglio, la consapevolezza che l’ambiente in cui si muovono i personaggi aggiunge moltissimo all’atmosfera complessiva del racconto piratesco.
Inutile dire che uguale importanza hanno scenografie e costumi, anche in questo caso gestiti con precisione certosina, dal legno delle navi ai vestiti, dagli edifici delle cittadine alle grotte più umide.
Discorso simile, sempre molto “visivo”, si può fare per il cast. Quelli di Black Sails sono tutti bravi attori, ma il concetto di bravura è sempre un po’ scivoloso e sfuggente. In questo senso, ci accorgiamo molto di più della bravura di un Matthew McConaughey (così caricato e diverso dal solito in True Detective), rispetto a quella dei protagonisti di Black Sails, in generale più misurati. Ma ancora una volta è l’immagine a vincere: prima che bravi, gli attori di Black Sails sono giusti per la parte. Il volto di Toby Stephens è perfetto per il Capitano Flint, e non serve nemmeno che l’attore si sforzi più di tanto: ha proprio il viso ideale per trasmettere il carisma e i segreti del protagonista. Idem per Luke Arnold, che sarebbe inadatto a fare il vero pirata, ma è perfetto per lo scanzonato e un po’ vigliacco John Silver. Anche se forse la migliore è Hannah New, il cui visino angelico ma determinato è esattamente quello che serviva per il personaggio di Eleanor, costamente in lotta per affermare la propria forza di leader a dispetto delle sue sembianze da fanciulla inerme. A questo aggiungete che, in generale, è una figa spaziale (scusate il francesismo) e il quadretto è completo.
Cazzarola, persino Zach McGowan è talmente preciso per Vane, da farci quasi dimenticare che in Shameless era un completo idiota. Però quasi.

Black Sails è stata rinnovata per una seconda stagione già mesi prima della messa in onda del pilot. E se ora non sono qui a bramare il prossimo episodio come mi capita con altre serie di maggior impatto emotivo, allo stesso tempo so già che a gennaio 2015, quando farà freddo e pioverà, il ritorno di Black Sails sarà una rigenerante boccata d’estate.



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