9 Novembre 2017 4 commenti

SMILF – La serie tv che vuole diventare la nuova Girls di Marco Villa

Creata, scritta, diretta e interpretata da Frankie West, SMILF è una serie tv che prosegue il discorso interrotto da Girls

Copertina, Pilot

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Una delle più grandi narrazioni femminili della serialità televisiva: da un punto di vista storico, Girls è stata soprattutto questo. Dal punto di vista dello spettatore, invece, è stata semplicemente una serie bellissima, che ha raccontato storie e personaggi difficili mantenendo un livello qualitativo altissimo. Quando è finita, Girls ha lasciato un buco enorme e SMILF è il primo tentativo di riempire quel buco.

SMILF è una nuova serie tv in onda su Showtime dal 5 novembre. È creata, scritta e diretta da Frankie Shaw, che è anche la protagonista. West interpreta Bridgette, mamma single che vive in un minuscolo monolocale di Boston. Il padre è Rafi (Miguel Gomez) e i due sono in ottimi rapporti, ma due anni dopo la nascita del bambino, Rafi sta cercando di costruirsi una vita senza Bridgette. Lei no, lei non ci riesce, schiacciata da un devastante mix di depressione e sensi di colpa.

https://www.youtube.com/watch?v=bg8lF5n1W7k&t=1s

SMILF è una serie caratterizzata da toni ed estetica indie e non potrebbe essere altrimenti, visto che è lo sviluppo del cortometraggio omonimo che Shaw ha presentato nel 2015 al Sundance Festival. I temi sono presi di petto, ma mai in modo plateale, giocando su dialoghi veloci e intelligenti. Giusto per fare un esempio, il tema portante della prima puntata è l’incapacità di Bridgette di rapportarsi con il proprio corpo, un corpo che, dopo la gravidanza e la nascita di Larry, fatica a sentire come suo. In tante serie avremmo visto una scena dalla psicologa o intorno al tavolo con delle amiche, a cui veniva spiattellato il problema senza giri di parole.

In SMILF, invece, viene condensato tutto in una paura, la paura che il parto abbia allargato talmente tanto la vagina di Bridgette che nessun uomo potrà mai provare piacere facendo sesso con lei. Lo so, detta così è forte e anche un po’ sopra le righe, ma il valore di SMILF sta tutto nella capcità di centellinare questo discorso in tanti confronti che Bridgette ha con donne di ogni età, dalla madre (Rosie O’Donnell, con cui ha un rapporto stretto ma poco amichevole) alla mamma della casa dove lavora come babysitter-tutor per lo studio e che è interpretata da Connie Britton.

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E qui si torna all’inizio, a Girls, perché una delle caratteristiche della serie di Lena Dunham era proprio la scelta di argomenti che potevano apparire fastidiosi e a enorme rischio esagerazione. Anzi, a volte l’esagerazione veniva anche cercata, così come accade in alcune scene di SMILF. Alla base di tutto, di Girls come di SMILF, la solitudine provata sempre e comunque dalle ragazze protagoniste, accomunate dalla voglia di rifiutare schemi e posizioni, ma consapevoli che questa impossibilità ad abbassare la testa fa per forza rima con spaesamento e difficoltà nel trovare distanze ed equilibri con quello che le circonda.

Gli stessi equilibri che SMILF in parte deve ancora trovare: il pilot è talmente pieno di situazioni al limite da raggiungere quasi il parossismo. Una serie giocata sempre in questo modo sarebbe un fallimento, ma nella prima puntata gli spunti positivi sono talmente tanti da lasciare più che ottimisti. Non sappiamo ancora se Frankie Shaw possa avere la potenza narrativa di Lena Dunham, ma il fatto di avere davanti una serie con un’identità così forte e in grado di presentarsi come un sequel di Girls ci fa stare meglio.

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