5 Aprile 2018 9 commenti

Trust – Una scintillante tragedia super pop di Marco Villa

In Trust, un gigantesco Donald Sutherland interpreta John Paul Getty, alle prese con il rapimento del nipote

Copertina, Pilot

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C’è il potere, c’è il sesso, c’è la droga e ci sono i soldi. Soprattutto i soldi, tantissimi soldi. Quello che manca è una delle (poche) cose che con il denaro non si può comprare: la fiducia, la lealtà. E come ogni buona narrazione insegna, se c’è qualcosa che è impossibile da ottenere, si può star certi che il personaggio principale vorrà quella e quella soltanto. Un tema classico, che in Trust viene trasformato in una tragedia dalla patina super-pop.

Trust è una serie tv in onda dal 25 marzo su FX (e già disponibile in Italia su Sky Atlantic HD), creata da Simon Beaufoy (sceneggiatore premio Oscar per Slumdog Millionaire, tra le altre cose) e diretta da Danny Boyle. Al centro di tutto c’è la famiglia Getty, che negli anni ‘70 è tra le più ricche al mondo. Al vertice il patriarca John Paul Getty (interpretato da Donald Sutherland), uomo che tutto può e tutto ottiene: dal maggiordomo che gli lava i denti a un harem di donne sempre disponibili a ogni suo capriccio. Quello che gli manca, quello che non riesce a ottenere è un erede in grado di prendere il suo posto: ai suoi occhi, tutti i figli sono un fallimento, interessati solo a spillare soldi per potersi pagare una vita esagerata sotto ogni punto di vista. Al di là delle giuste remore su alcuni di loro, di fatto Getty senior è un paranoico che usa il potere come strumento sadico, amando tenere nelle proprie mani chi lo circonda e disdegnando tutto ciò che si discosta dalla sua visione del mondo. All’improvviso, nella sua tenuta appare il giovanissimo nipote (Harris Dickinson). Ha il suo stesso nome, ma non potrebbe essere più diverso: un fricchettone figlio dei suoi tempi, che però si rivela essere sulla stessa lunghezza d’onda del nonno su tanti argomenti. Il vecchio si convince così di avere finalmente trovato il suo degno erede, ma le cose precipitano presto: prima la delusione sul comportamento del nipotino, poi il rapimento dello stesso ad opera di un gruppo mafioso in Italia. Al nonno arriva ovviamente la richiesta di riscatto, ma altrettanto ovviamente il tutto non viene preso sul serio. E poi Getty sr non vuole sganciare un soldo. Mai.

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Il rapimento è il cuore di Trust, l’elemento che fa deflagrare tutti i rapporti tra i personaggi e mette a nudo il comportamento del re. Ma sarebbe sbagliato dire che Trust è dedicata al rapimento: Trust è dedicata innanzitutto a John Paul Getty, figura gigantesca che nasconde abissi di miseria e grettezza. Tirchio all’ennesima potenza, al punto da segnare al centesimo tutte le spese quotidiane, divorato dal bisogno di controllo, quel controllo che gli impedisce di fidarsi di chi lo circonda. In una delle prime scene, viene citato apertamente Re Lear di Shakespeare ed è evidente il richiamo alla tragedia: Trust non è altro che un’attualizzazione di quelle opere, in cui un monarca-dio si trova costretto ad affrontare la propria mortalità e la propria successione.

L’abilità del duo Beaufoy-Boyle sta tutta nel trasformare un tema così classico e una storia ambientata in un tempo così connotato in una tragedia pop tutta giocata su contrasti: le ombre che circondano sempre Getty in opposizione con la luce caldissima della vita degli altri personaggi lontani dalla casa di famiglia, per dirne una, o il contrasto tra l’immobilità del vecchio e la frenesia del movimenti del giovane. Il contrasto tra Donald Sutherland e Michael Esper è giocato benissimo nel corso del primo episodio, riuscendo a reggere da solo una puntata che è di fatto di semplice presentazione. Anche il resto del cast è notevole: da Brandan Fraser nei panni di una sorta di investigatore privato statunitense in aria di Fratelli Coen, con licenza di parlare al pubblico, oppure Hillary Swank, che compare nel secondo episodio come madre del nipote rapito. Senza dimenticare la colonia italiana, che vede in prima linea Giuseppe Battiston e Luca Marinelli.

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Trust è una serie potente, in cui ogni elemento viene fatto rendere al massimo: scrittura, regia e cast sono a livelli altissimi. Se il primo episodio convince, il secondo le fa addirittura spiccare il volo, lasciando la sensazione che i margini di crescita siano tutt’altro che finiti.

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