7 Novembre 2018 2 commenti

Tell Me A Story – Un Cappuccetto Rosso a New York di Marco Villa

Tell Me A Story vuole riproporre le fiabe classiche in chiave moderna

Copertina, Pilot

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Qualche anno fa, di colpo, autori e network decisero che era arrivato il momento di ripescare il mondo delle fiabe. Così, a distanza di cinque giorni, su CBS e NBC partirono Once Upon A Time e Grimm, due serie molto diverse tra loro, che portavano all’interno degli episodi personaggi come Biancaneve e Cappuccetto Rosso. Sono passati ben otto anni da quella bizzarra settimana di ottobre e, come se niente fosse, le fiabe sono tornate in tv: a ospitarle è Tell Me A Story, la nuova serie firmata da Kevin Williamson.

Tell Me A Story è una nuova serie disponibile su CBS All Access, il servizio on demand di CBS, dal 31 ottobre e basata sulla messicana Érase una vez. A differenza delle serie citate in apertura, non dichiara in maniera esplicita la propria adesione a qualche vecchia fiaba, ma inserisce riferimenti a questo o quel racconto all’interno delle proprie puntate, adattandone i temi a seconda degli intrecci e dei personaggi.

Ecco, i personaggi: in apparenza, appartengono a mondi del tutto diversi tra loro, ma sono in realtà legati da sottili fili di relazioni e di luoghi. Il primo nucleo è quello che chiameremo “Famiglia Cappuccetto Rosso”: padre chef rimasto vedovo torna ad abitare a casa della madre, trasferendosi dalla California a New York insieme alla figlia. Fun fact: la nonna è Kim Cattrall, che torna a New York dopo Sex & The City. Il secondo è il nucleo “Hansel e Gretel”: due fratelli (o almeno così l’ho interpretata) latini con grossi traumi. Lui è Gabe e lavora come ragazzo immagine in un locale ed è sempre strafatto, lei è Hannah ed è una veterana di guerra e non ha ben risolto le questioni con il passato. Il terzo è il nucleo “Tre porcellini”: due fratelli + un terzo soggetto che si mettono la maschera da maiale e rapinano una banca.

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Come dicevo: sembrano mondi separati, ma in realtà tutto è legato. Per dire: Kayla la figlia deportata dalla California (Danielle Campbell) va a ballare nel posto in cui lavora Gabe e in cui fa il barista spacciatore uno dei tre porcellini Eddie (Paul Wesley). Lo stesso Gabe va a un festino in una stanza dell’albergo dove lavora il padre chef, albergo peraltro di proprietà di un altro personaggio che entra in collisione con il trio di rapinatori all’interno di una gioielleria. Capito più o meno come funziona? Segui un personaggio e scopri che si incrocia con un altro, anche se entrambi ignorano l’esistenza altrui.

Quello di Tell Me A Story è un meccanismo narrativo stimolante, che tiene viva l’attenzione del pubblico e permette di piazzare più di un piccolo colpo di scena: niente di epocale, ma la reazione di sorpresa è garantita ogni volta che si verifica un incontro. E questo è un ottimo spunto, anche perché permette di superare l’impaludamento dato da alcuni spiegoni a volte fin troppo scoperti o l’inserimento forzato e un filo tamarro di quei riferimenti fiabeschi di cui non si avverte minimamente il bisogno.

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Tutta la forza di Tell Me A Story non sta infatti in quello che dovrebbe essere il suo concept iniziale, ma nella capacità di passare in modo fluido da una storia all’altra, senza che gli incastri appaiano artificiosi. A questo si aggiunge una carica erotica che attraversa quasi ogni scena, nettamente più esplicita rispetto agli standard di una tv generalista.

Ognuna delle storyline mostrate nella prima puntata raggiunge il proprio apice drammatico nel finale, lasciando sospesi dei cliffhanger grandi come case: motivo per cui, se anche non avete amato alla follia il pilot e il suo essere un po’ tamarro, probabilmente vi metterete a guardare il secondo episodio.

Perché guardare Tell Me A Story: perché ha una costruzione narrativa precisa e piuttosto stimolante

Perché mollare Tell Me A Story: perché affianca struttura precisa e scrittura tamarra

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