10 Febbraio 2011 3 commenti

The Chicago Code: la nuova serie del creatore di The Shield di Marco Villa

Il miglior crime dell’anno

Copertina, Pilot

Attenzione, siamo in presenza di qualcosa identificabile come “bomba”. Lo sapete: a noi piace criticare ed elogiare, ma poche volte ci lasciamo andare all’esaltazione.
Domanda facile facile: quali sono le migliori serie crime degli ultimi dieci anni? Abbiamo istituito anche un premio per dirlo. Comunque sì, sono The Shield e The Wire.
Ecco, The Chicago Code le prende e le unisce. Per quanto mi riguarda potrei anche fermarmi qui.

La serie è iniziata il 7 febbraio su Fox. È stato l’esordio più visto in questa stagione sull’emittente di Rupert Murdoch. Ciononostante, la rete si aspettava di più: speriamo non sia un cattivo presagio. Creatore del tutto è Shawn Ryan, ovvero l’inventore dell’universo corrotto di The Shield, ma anche uomo con le mani in pasta in altri telefilm americani come Lie to me e Terriers.
Come si può vagamente intuire, siamo a Chicago, ma, a dispetto del titolo, non seguiamo le vite di persone che decrittano codici. La storia è infatti incentrata sul dipartimento di polizia e in particolare sulla sovrintendente Teresa Colvin (Jennifer Beals) e sul detective Jarek Wysocki (Jason Clarke). Lei inquadrata e rispettosa delle regole, lui cane sciolto che non si fa grossi problemi a prendere scorciatoie. Insieme, decidono di creare una task force non ufficiale per combattere la corruzione cittadina. In particolare, si concentrano su Ronin Gibbons (Delroy Lindo), uomo forte della città e punto d’incontro tra politica, mondo degli affari e malavita (tra parentesi: Gibbons ha il ruolo di alderman, una specie di consigliere municipale. Quelli di Itasa lo chiamano aldermanno. Per favore, nun se po’ sentì).

Detta così non è niente di che, la solita storia, il poliziotto buono, quello rude, il cattivissimo da abbattere. La differenza, come sempre, la fa la scrittura, segnata da un ingresso senza mediazioni negli eventi. Shawn Ryan decide di delegare ai nostri cervelli di spettatori il compito di unire tra loro i pezzi del mosaico ed evita di darci in pasto battute imbarazzanti, con il solo scopo di costruirci il nostro kit maipiùsenza con le biografie dei personaggi.
I fatti principali li scopriamo dagli avvenimenti che seguiamo sullo schermo, le lacune sul passato vengono colmate da veloci inserti (sui 30 secondi l’uno) in cui i personaggi raccontano in prima persona il percorso che li ha condotti fino a quel momento della propria vita. Nel corso del pilot ci vengono mostrati i punti di vista di cinque personaggi, raccontati attraverso montati rapidi e incisivi degli eventi della propria vita. Un sistema che funziona e che riesce ad evitare di essere spiegone. La questione andrebbe approfondita molto di più, ma cadrei nello spoiler, quindi rimando il pippone semiotico-narratologico.

La scrittura si fa notare anche per un secondo fatto, decisamente non da poco: The Chicago Code prende all’istante. Dopo dieci minuti si è già in tensione per un inseguimento che coinvolge un personaggio di fatto sconosciuto, ma a cui ci si è già affezionati e le ultime sequenze del pilot sono un capolavoro di intensità e drammaticità. Ah, in mezzo ci sono due casi di omicidio, una storyline sentimentale, la descrizione di un potere corrotto e perverso, il ritratto di un dipartimento spaccato tra onesti e mele marce. In sostanza, in quaranta minuti ci sono più eventi che in tutti gli episodi di Rubicon e Boardwalk Empire messi insieme.
Si diceva, il punto d’incontro tra The Shield e The Wire. Del primo c’è la centralità della corruzione, evidentemente un’ossessione per Ryan, del secondo l’ambientazione negli Stati Uniti settentrionali e il concentrarsi su una lotta contro i poteri forti da parte di un gruppetto di idealisti.
Dal primo episodio, l’impressione è quella di una serie quasi esclusivamente orizzontale: fosse confermato anche questo elemento, saremmo di fronte a un nuovo caposaldo dei telefilm polizieschi.

Previsioni sul futuro: senza sconti di drammi e lacerazioni, si metterà in scena la lotta tra l’idealismo e la difesa del potere.

Perché seguirlo: perché questi scontri gli americani li sanno raccontare bene e perché se non si dà fiducia a un pilot così, allora tanto vale.

Perché mollarlo: perché si parla di idealisti che si battono in quello che credono. E non vi piacciono i fantasy.

.



CORRELATI