23 Maggio 2012 11 commenti

Grey’s Anatomy – Era quell’altra, per dio! di Diego Castelli

Finalone potente e scelte non condivisibili

Copertina, On Air

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ATTENZIONE: SPOILER VERGOGNOSI SULL’ULTIMO EPISODIO DELL’OTTAVA STAGIONE

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Eh però che palle!

Otto anni – otto – di assidua fedeltà, e avevo chiesto una sola cosa. Non due, non tre, una. Non mi pare di essere stato eccessivamente insistente o fastidioso. Chiedevo soltanto la testa di Meredith Grey, personaggio inutile interpretato da attrice cagna.
Quando è arrivata Lexi, la sorellina, mi sono illuminato: evvai, ho pensato, aggiungendo una Grey possono cambiare protagonista senza cambiare titolo, colpo di classe!
E invece cosa combina quella infame della Shonda? Mi ammazza proprio Lexie, che mi piaceva pure, più carina, coi superpoteri della memoria fotografica… Era l’altra che doveva morire, per dio! E per aggiungere danno alla beffa, Meredith è l’unica che nello schianto non si fa pranticamente niente.
Il risultato è che invece di danzare sul cadavere della Grande Grey, mi tocca osservarla mentre piange disperata al capezzale della Piccola. E signori, quando Ellen Pompeo si mette a piangere, la faccia le si accartoccia in maniera davvero inaccettabile.

Vabbe’, purtroppo quel è fatto è fatto, lasciamo da parte i sentimenti e facciamo analisi.
Il finale dell’ottava stagione di Grey’s Anatomy è stato figo. E’ un episodio esageratissimo, pompatissimo, pieno di retorica melensa, a tratti un filino ridicolo. Ma in fondo è tutta la serie a essere esageratissima, pompatissima, piena di retorica melensa, a tratti un filino ridicola. Se dopo otto anni siamo ancora qui, vuol dire che ci piace, quindi è inutile stare a questionare sul fatto che sti poveretti, dopo tutte le sfighe che hanno già subito in passato, si ritrovano coinvolti in un incidente aereo. Grey’s ci ha abitutato fin dall’inizio a casi medici estremi, ad avvenimenti fuori dalla quotidianità di un normale ospedale telefilmico, quindi non ci stupiamo più di tanto.

Anzi, è anche bello che sia la stessa Cristina, con un apprezzabile guizzo metatestuale, a sottolineare che non è normale tutta sta rogna su un solo gruppo di medici: uno è morto investito da un autobus, quell’altra ha avuto il cancro, hanno impedito a bombe inesplose di deflagrare nel torace dei pazienti, sono sopravvisuti (non proprio tutti…) a pazzi maniaci scorrazzanti per i corridoi. Ormai, nemmeno una svolta soprannaturale del tipo “il Seattle Grace è posseduto dal Demonio” sarebbe troppo inverosimile.
Quindi ben venga lo schianto nei boschi, che coinvolge metà dei protagonisti e permette agli autori di fare quello che sanno fare meglio: mescolare le questioni mediche con quelle sentimentali, elaborare emergenze ai limiti della sopportazione umana e infarcirle comunque di elucubrazioni romantico-psicologiche, tra dichiarazioni amorose dell’ultim(issim)o minuto, tentativi di salvare arti fondamentali al lavoro, pensieri a figli e amanti lasciati a casa e via dicendo.
Non mancano i piccoli giochi di prestigio, come il parallelo tra i medici all’ospedale, impegnati in una procedura delicata ma in fondo ordinaria, e i poveracci tumefatti nella selva, che per quella stessa procedura devono usare mezzi di fortuna e possibilmente anche un po’ di culo. Voglio dire, non c’era nemmeno una botola con sotto un appartamento arredato e generi di prima necessità, e sì che l’ambientazione sembrava suggerire altrimenti…

Insomma, un finale bello intenso, in pieno stile Grey’s, con un decesso assai eclatante che, a parte il dispiacere per la sopravvivenza della sorella sbagliata, rappresenta comunque una scelta forte, un pugno che inchioda lo spettatore alla poltrona in attesa della prossima stagione. Giusto così.

Rimane giusto un dubbio, proprio sul futuro: Shonda e soci continuano ad alzare il tiro, sparandola sempre più grossa. Più andrà avanti lo show, più l’asticella dell’esagerazione verrà alzata, e più sarà difficile trovare un finale di serie realmente degno. Forse è un ragionamento prematuro da fare a questo punto, ma con tutti i “series finale” che vediamo in questi giorni, viene spontaneo chiedersi se alla fine della corsa riusciremo ad avere una conclusione davvero all’altezza.
Potrebbe anche finire tutto a tarallucci e vino, senza grossi pericoli, senza rischi per nessuno, con tanta gioia e basta. A ben pensarci, sarebbe una cosa davvero sorprendente.

POSTILLA
Bisogna fare qualcosa per questo macabro rapporto tra i telefilm e gli aerei. Non so se gli sceneggiatori vengono scelti tra i fobici del volo, ma è ormai un fatto che il modo statisticamente più sicuro di viaggiare, nelle serie tv sta diventando una specie di incubo.
Cadere nei boschi è ancora normale. Abbiamo visto aerei sparire nel nulla per ricomparire e schiantarsi a migliaia di chilometri di distanza. Altri fracassarsi dando strani poteri ai passeggeri, altri ancora in costante pericolo mentre a terra un cazzuto agente dell’antiterrorismo tentava di salvare la situazione tutto da solo. E se va proprio male, si può finire su un’isola semovente popolata da spaventose forze millenarie, gentaglia pericolosa, orsi polari e fumi cancerogeni.

Ma prendere il fottutissimo treno no?



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