14 Settembre 2012 4 commenti

Sons of Anarchy 5 – Partenza spettacolo. di Diego Castelli

La nuova stagione comincia coi botti

Copertina, On Air

ATTENZIONE! MEGLIO NON LEGGERE SE NON AVETE VISTO LA 5X01!

Tra le (poche) cose che ci fanno incazzare dei telefilm c’è quella regola non scritta per cui dopo un finale di stagione clamoroso deve seguire un inizio loffio, lento, e banale. Un esempio da una serie che pure amiamo? Il Fringe post-sparizione di Peter, tanto per dirne una.

Fortunamente a questo mondo esistono le eccezioni e, ancora una volta, Sons of Anarchy è una splendida, splendida eccezione.

La quarta stagione era stata la migliore di sempre, perché più di tutte aveva mostrato quello che SoA è veramente: non un crime/action con i motociclisti, bensì una saga familiare da far invidia a Beautiful, filtrata però attraverso un immaginario che è praticamente opposto a quello della soap opera, e ovviamente attraverso una scrittura che dovrebbe costringere metà degli sceneggiatori di Hollywood al licenziamento per manifesta inferiorità.

Ebbene, la quarta stagione era stata un grande crescendo, una battaglia sfibrante e in larga parte vana per far uscire SAMCRO dalla pozza di merda in cui era lentamente scivolato. Il rischio, e l’avevamo anche scritto, era che non si riuscisse a restare su quel livello. Che per forza di cose si calasse, specie nei primissimi episodi della quinta stagione.
E invece no: la 5×01 è impressionante. Lasciate che lo dica ancora: impressionante. Nel senso concreto del termine: ti si imprime sulla carne come un marchio da bestiame.

Le fondamenta per la nuova stagione vengono puntualmente lanciate, nel solco delle questioni relative alla droga, alla CIA, al cartello dei messicani, alle conseguenze del colpo di testa di Tig, che senza sapere come erano andati realmente i fatti si era schiantato contro i neri pensando di vendicare Clay. Scusate se sintetizzo con “i neri”, ma è un fatto che in SoA le macro-divisioni in campo sono basate molto sulla razza: bianchi, neri, messicani ecc.
In questo senso, particolarmente importante (e d’effetto) è l’arrivo di due nuovi personaggi, interpretati da facce ben note: da una parte Jimmy Smits, che va a impersonare un pappone tatuato e fascinoso che fa breccia nel cuore di Gemma. Dall’altra parte Harold Perrineau, il buon vecchio Michael di Lost, che da padre inesperto e goffo dell’isola si trasforma in genitore vendicativo e bastardissimo. E’ lui il vero “capo dei neri” (scusate ancora), ed evidentemente diventerà il nuovo cattivissimo della stagione.

Questo per quanto riguarda le lotte criminali, le sparatorie e le moto che sfrecciano. Perché poi c’è tutto il sugo intrafamiliare, dove non solo si vive di rendita, ma si spinge anche sull’acceleratore, con un Clay ferito ma non sconfitto, pronto a usare verità per lui molto pericolose come strumento di ulteriore sotterfugio e mistificazione. Capiamo insomma che gli intrighi della famiglia di Jax non sono arrivati al culmine del loro sviluppo, come pareva sul finale della scorsa stagione, ma possono ancora dare tanto a una serie che sta mettendo i suoi personaggi a durissima prova, solo per il nostro sadico piacere.

Finora però si è parlato solo di sceneggiatura, mentre per questa premiere bisogna anche dire qualcosa sulla messa in scena. Troppa l’intensità di quello che si “vede” e si “sente” per tralasciarla in favore di ciò che si “viene a sapere”. E’ soprattutto dalle immagini che ci vengono sbattuti in faccia alcuni dei temi più cari allo show, dai tentativi di tenere insieme famiglie che tendono all’autodistruzione, allo scontro tra una generazione che invecchia e una che cresce. In questo senso, semplicemente splendida la raffigurazione di Clay, trasformatosi in vecchio claudicante incapace di stare sulla moto. Nella mente dello spettatore di crea uno strano effetto di compassione di fronte a questo anzianotto sconfitto. Effetto che però viene subito stemperato dalla consapevolezza che il vecchio leone ha tutt’altro che smesso di ruggire. E qui notiamo anche dei dettagli, come i tubicini nel naso e la posizione al tavolo dei Sons, tutti elementi che rimandano al vecchio Piney, ucciso dallo stesso Clay che in qualche modo ne ha preso il posto. Un posto però usurpato e sporcato, perché il valore etico e morale dei due personaggi è completamente diverso.
Stesso discorso per Gemma e Tara, la prima spodestata nel suo ruolo di madre del club, ma tutt’altro che intenzionata a farsi da parte (e ricordiamo che anche Gemma sta tenendo nascosto il suo ruolo attivo nell’omicidio dell’ex marito, che quando Jax lo scopre viene giù tutto…).

Insomma, una premiere densissima, quasi un’ora di storia piena, potente, musicata al meglio, in cui vecchi temi e nuovi personaggi si integrano subito alla perfezione, tanto che mi sto istericamente dispiacendo del fatto che ho già un episodio in meno da vedere. Passeresti tutto il giorno a guardare Sons of Anarchy, non stanca mai.

Ma non ho ancora finito! Perché niente esemplifica quel concetto di impressione di cui parlavamo prima, come la scena dell’omicidio della figlia di Tig. Un momento brutale, crudo, quasi insostenbile, in cui vengono poste molte basi emotive del prossimo futuro: Tig non è un santo, ma i suoi errori vengono più dalla stupidità e dall’avventatezza che dalla volontà di fare il male. L’uomo che invece uccide sua figlia è la personficazione della spietatezza e della mancanza di compassione.
Ecco un altro dei trucchi usati da Kurt Sutter: i sons sono criminali a tutti gli effetti, né più né meno che i loro nemici, ma la grande differenza, ciò che ce li fa amare, è la positività dei loro sentimenti (l’onore, l’amicizia, l’amore) in contrasto con la freddezza e l’avidità di tutti gli altri (persino dei poliziotti). Che poi è il passaggio che fa Clay per diventare cattivo “vero”: dall’amore all’avidità, dall’onesta amicizia alla segretezza.
Per farci capire tutto questo, gli autori fanno uccidere la figlia di Tig in una delle scene più pesanti di cui abbia memoria in un telefilm. Una forza basata quasi solo sulla perfetta recitazione di Kim Coates, il cui modo di muoversi e parlare di fronte alla tragedia è così diverso da ciò che vediamo di solito, da risultarci più realistico e per questo infinitamente più emozionante (pur sapendo che nessuno di noi, spero, ha visto dal vivo un padre a cui uccidevano la figlia davanti agli occhi).

Dai, meglio che chiudo ché sennò poi il Villa si lamenta.
Solo un’ultima cosa. Un incitamento, un’esortazione, una preghiera: se ancora non lo fate, guardate Sons of Anarchy. Non vedo l’ora di sentire i vostri ringraziamenti.
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