1 Settembre 2015 12 commenti

Narcos – La serie tv di Netflix sulla vita di Pablo Escobar di Marco Villa

Narcos di Netflix è semplicemente la prima grande serie della stagione 2015/2016

Copertina, Pilot

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È la prima grande serie del 2015/2016, quella che apre la nuova stagione con qualche giorno di anticipo sul simbolico primo di settembre. E ha tutto per essere qualcosa di grosso: è di Netflix, che al momento si gioca con HBO il ruolo di network più in forma e amato e ha un tema affascinante e morboso come pochi. Stiamo ovviamente parlando di Narcos, una serie che parte con aspettative altissime, che le prime puntate confermano alla grande, pur mostrando anche qualche punto di debolezza.

Narcos è una serie in dieci episodi rilasciata da Netflix il 28 agosto. Creata da Chris Brancato e diretta (nel pilot) dal brasiliano José Padilha (Tropa de Elite), racconta la storia di Pablo Escobar, il re del narcotraffico colombiano che spadroneggiò in tutto il continente americano negli anni ‘80. Narcos racconta la sua ascesa e il suo regno, ma lo fa da un punto di vista esterno, quello dell’agente speciale della DEA Steve Murphy (Boyd Holbrook), che da Miami si trasferisce a Bogotà per fermare il boss.

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Narcos appare chiaramente divisa in due: c’è la vita di Pablo Escobar (interpretato da un super Wagner Moura, fedelissimo del regista Padilha) e la sua trasformazione da contrabbandiere di merci a grande capo dello smercio di droga; c’è la vicenda dell’agente Murphy, che a Miami si trova a vivere in parallelo le conseguenze del cambio di vita di Escobar, passando dall’arrestare fricchettoni in infradito pieni di erba a ricevere sventagliate di mitra da parte degli spacciatori di coca del giro di Escobar. Queste due parti del racconto si incontrano già nel secondo episodio, quando Murphy prende moglie e bagagli e si sposta in Colombia, per essere in prima linea nella guerra alla droga lanciata dal suo presidente, Ronald Reagan.

Nei primi episodi di Narcos tutto fila alla grande: la storia ha un potenza innegabile, Escobar è un personaggio di grande fascino (morbosità a manetta, ovvio) e tutti gli interpreti sembrano assolutamente all’altezza. Aggiungete ambientazioni perfette e una regia concreta, ma che si concede diversi picchi di qualità e il quadro è completo. Narcos è una serie complessa, con tante cose da raccontare e diversi piani narrativi: il meccanismo generale funziona benissimo tutte le storie si incastrano alla perfezione e anche le figure minori sono caratterizzate.

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Una cosa, però, non gira: l’uso eccessivo del voice over, che è una buona scorciatoia di scrittura, ma anche un espediente di cui è troppo facile abusare. Faccio un esempio: nel primo episodio si mostra l’ascesa di Escobar come quella di un self made man furbo, abile e sempre con il sorrisetto sulle labbra. Nel corso della puntata di fatto non si mostra un solo atto di violenza da parte del boss, salvo poi ribaltare completamente il racconto della sua vita con una piccola frase: raccontando la storia di Escobar, Murphy dice che nella sua ascesa ha ucciso più di mille poliziotti, cosa di cui non avevamo minimamente percezione fino a quel momento. Raccontare invece di mostrare è una scelta che non è mai brillante, ma il voice over inevitabilmente finisce per spingere in questa direzione. Ok che la storia è raccontata dal punto di vista del poliziotto, ma forse trasformarlo in un narratore onnisciente presente pressoché in ogni scena è un po’ eccessivo, anche perché si rischia di arrivare a soluzioni pigre come quella appena citata. Un problema che speriamo venga superato: Narcos è una bella serie, ma senza il raccontino che prende per mano lo spettatore potrebbe essere molto più potente.

Ma siamo già ai dettagli e questo è sempre un ottimo segno.

Perché seguirla: perché ha tutto per essere una delle grandi serie della nuova stagione

Perché mollarla: perché l’eccessivo uso del voice over rischia di trasformare tutto in una favoletta.



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