6 Settembre 2016 8 commenti

Narcos Seconda Stagione – Per sempre coinvolti di Marco Villa

[NO SPOILER] Di come Narcos ci abbia fatto tifare per un criminale e ora venga a chiedercene conto

Copertina, On Air

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Oohh, finalmente. Facile immaginare che sia stato questo il primo commento espresso da tantissimi appassionati quando, un anno dopo l’ultima volta, hanno sentito nuovamente l’arpeggio che apre Tuyo di Rodrigo Amarante. “Soy el fuego che arde tu piel”, un fuoco che aspettavamo da troppo, perché la prima volta ci aveva trascinato in tempo zero all’interno della storia, come accaduto poche altre volte in questi anni. Perché più serie ci sono, più serie guardiamo, più abbiamo la sensazione che a tratti la quantità vada a coprire la qualità. Tantissimi titoli, pochissime serie in grado di farti andare all’episodio successivo in modo sistematico. Tra questi, senz’altro Narcos.

L’avevamo detto già in occasione della prima stagione: Narcos non è un capolavoro, non è la serie che metteremo mai al primo posto tra le preferite e forse nemmeno nelle prime dieci. Però funziona benissimo e non ci si può staccare, perché è fatta in modo chirurgico per catturarti e tenerti lì. Così era la prima stagione, così è anche la seconda. Del resto, la storia non cambia di una virgola: Pablo Escobar vs. the world. Dove il mondo è la DEA, la polizia, l’esercito e il governo colombiani, gli altri cartelli narcos. Tutti, nessuno escluso. Come nella prima stagione, la storia è raccontata in voice over dall’agente Murphy e dal suo tono di voce da mezzo sbronzo stravaccato in veranda al tramonto.

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Tutto come lo scorso anno? Sì, ma allo stesso tempo tutto diverso. È vero, stiamo sempre assistendo alla biografia di Pablo Escobar, ma la sua storia non è più la stessa. I primi dieci episodi di Narcos hanno raccontato una crescita continua, una parabola che partiva dal nulla e arriva all’apice, da tutti i punti di vista: soldi, violenza e soprattutto potere. Quel potere che gli aveva permesso di costruirsi la propria prigione, costringendo il governo colombiano ad accettare le condizioni del criminale, trasformando la resa in una mezza vittoria.

La seconda stagione racconta tutta un’altra storia, la storia di un uomo che perde ciò che ha: prima poco alla volta, poi tutto all’improvviso, per citare direttamente il buon Murphy. Non conta tanto raccontare cosa succede episodio dopo episodio, perché tutto si può riassumere in poche parole: Escobar viene colpito, lui ribatte alzando il livello di violenza, ma finisce per dover scappare e nascondersi. Così, senza fine, scontro dopo scontro, rifugio dopo rifugio. Nel frattempo gli uomini intorno a lui sono sempre meno, pancia e capelli bianchi aumentano, mentre diminuisce lo sfarzo delle case. Una ciclicità impressionante, che potrebbe quasi sembrare ripetitività, ma che è perfetta per mettere in scena l’ineluttabilità del destino del re dei narcos, che aveva in mano il mondo e si ritrova a proteggere a fatica la propria famiglia. Una caduta inarrestabile, che ricorda quella di Hitler raccontata dal film di Oliver Hirschbiegel con Bruno Ganz, incarnata in modo splendido da un grandissimo Wagner Moura.

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Del resto, c’è poco da girarci intorno: alla fine di questa stagione Pablo Escobar morirà, come dichiarato in modo beffardo direttamente da Netflix, che ha giocato benissimo sull’ansia da spoiler in tutta la campagna promozionale degli scorsi mesi. E il racconto di una caduta è sempre il racconto di una tragedia, perché chi non ha nulla da perdere è disposto a superare limiti che nemmeno pensava di avere. L’Escobar della seconda stagione di Narcos, se possibile, è ancora più violento e la sua crudeltà aumenta al diminuire della distanza che lo separa dai suoi nemici.

La seconda stagione ci mette di fronte tutta la violenza di cui Escobar è capace, come a rinfacciarci la nostra incapacità di rimanere distaccati e giudicanti nei suoi confronti: contro ogni logica, tutti nella prima stagione abbiamo fatto il tifo per lui e anche di fronte a carneficine di innocenti continuiamo a esserlo. Colpa di una narrazione che in ogni scena ci ha spinto in quella direzione, mostrandoci come buoni e cattivi siano eticamente e umanamente impossibili da salvare. Dopo venti episodi, adesso è il momento in cui ci viene chiesto conto del nostro sostegno emotivo. Al di là dell’efficacia narrativa, è questo il vero punto di forza di Narcos: non sarà la serie della vita, ma poche volte ci siamo sentiti partecipi e, nostro malgrado, per sempre coinvolti.

P.S. È ufficiale: Narcos continuerà con (almeno) una terza e quarta stagione



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