19 Febbraio 2016 7 commenti

Better Call Saul: il ritorno di un semplice spin-off. Ma che spin-off! di Diego Castelli

Jimmy è di nuovo tra noi e non possiamo che amarlo

Copertina, On Air

Better Call Saul (1)

SPOILER SULLA 2×01!

È passato un anno da quando cominciavamo a guardare Better Call Saul, il prequel/spin-off di Breaking Bad che aveva fomentato entusiasmi e timori per poi dimostrarsi magicamente in grado di reggere il confronto col predecessore, non tanto in termini di impatto mediatico e culturale (quello sarebbe impossibile) ma per lo meno dal punto di vista dello stile e della raffinatezza.

Per tutta la prima stagione la serie si è portata dietro gli elogi di chi si aspettava un disastro, scoprendo invece un ottimo show, e al contrario i rimbrotti di chi invece avrebbe preferito non sviscerare ulteriormente un mondo che con Breaking Bad aveva già detto – a loro giudizio – tutto ciò che c’era da dire.
Io faccio parte del primo gruppo, e la prima stagione di Better Call Saul me la sono goduta alla grande, accompagnando il povero Jimmy su un percorso di crescita che sappiamo porterà a Saul Goodman, ma che per ora ha raccontato soltanto di un uomo preso a ceffoni dalla vita e dalla famiglia, che parte da un’idea molto precisa di onestà e di onore per poi a sfumarla pian piano, fino ad arrivare a un season finale in cui l’idea non è più “fare la cosa giusta”, bensì “fare la cosa giusta per me”.

Better Call Saul (4)

In questi mesi, a parte l’attesa per la seconda stagione, di Better Call Saul si è parlato anche in relazione al suo approdo su Netflix, che al momento offre tutti i primi episodi e ha deciso di tradire la sua filosofia del tutto-in-una-volta pur di rimanere attaccata al treno, proponendo quindi di settimana in settimana gli episodi della seconda stagione che in America vanno in onda su AMC.
Better è dunque diventata una sorta di volano pubblicitario, segno che quel mondo e quei personaggi hanno ancora un alone di leggenda e di fascino tale per cui una piattaforma di streaming sa che offrire quel faccione lì è importante a prescindere, anche se poi i suoi utenti non la guarderanno effettivamente.

Ancora una volta, quindi, ci tocca porci la stessa domanda: Better Call Saul è una mera operazione commerciale, uno spremere ascolti e soldi da un concept che dovrebbe andare in pensione? O è invece una serie con la sua piena dignità, meritevole di attenzione a prescindere da tutto il resto?
Vi darò la stessa risposta, cioè che Better Call Saul è tuttora una serie della Madonna e si merita ogni elogio. Allo stesso tempo, però, vale la pena approfondire il concetto, perché riconoscere la qualità di Better Call Saul non significa necessariamente negarne il link fortissimo con la serie che l’ha generata.

Better Call Saul (2)

L’inizio della seconda stagione è in questo senso esemplare. Come già l’anno scorso, Vince Gilligan e soci ci mostrano il futuro di Saul, piuttosto che il suo passato. Ancora una volta vediamo il poveretto ormai calvo che lavora come cameriere/cuoco/sguattero, mentre conduce una vita anonima e letteralmente in bianco e nero lavorando in un centro commerciale come tanti.

In quei pochi minuti Saul rimane bloccato nel locale immondizia, con la seria prospettiva di restare rinchiuso tutta la notte. Lo vediamo ponderare l’idea di attivare l’allarme collegato all’uscita di emergenza, che però farebbe arrivare i poliziotti. Meglio evitare. E poi, quando finalmente riesce a uscire grazie all’intervento di un altro inserviente, vediamo che ha lasciato una piccola firma sul muro, un “SG was here” forse dettato dalla semplice noia.
È una scena piccola ma splendida, che senza una sola battuta di dialogo ci catapulta nel mesto futuro del protagonista, dove la paura non l’ha ancora abbandonato e dove Saul Goodman non esiste più, se non nella forma di una piccola e insignificante scritta incomprensibile, vergata in un ultimo moto di stizza su un muro che nessuno vede, accanto a bidoni pieni di pattume.

Better Call Saul (6)

Io credo (o forse spero) che il protagonista di Better Call Saul non sarà mai Saul Goodman. Saul Goodman è un personaggio di Breaking Bad: prima di lui c’è Jimmy, dopo di lui non c’è nessuno, se non l’ombra vuota e nostalgica di se stesso.

E nel momento in cui mi accorgo della bellezza di questo incipit, mi rendo anche conto di quanto sia importante aver visto Breaking Bad per apprezzarlo pienamente. In qualche modo, dunque, Better Call Saul è criticabile per come riesce a raggiungere la vera bellezza solo quando presuppone la visione di Breaking Bad. Verrebbe da dire che non sa camminare sulle sue gambe. E tuttavia, per chi BB l’ha effettivamente visto, queste scene di Better sono ben più che un camminare, sono un vera e propria danza, un balletto carico di emozioni e significato.

A questo punto non resta che accettare il fatto che Better Call Saul sia uno spin-off nel pieno senso del termine, pensato per essere una costola di qualcos’altro, ma che contemporaneamente nel suo essere costola trova spazio per vere e proprie perle.

Better Call Saul (3)

Il resto dell’episodio, dopo quell’apertura fantastica, si inserisce nel solco e nella narrazione già tracciata l’anno scorso: Jimmy non è ancora diventato il maneggione che conosciamo, il percorso ha ancora bisogno di qualche tappa, ma certo sta cominciando a sondare il terreno di una maggiore libertà e spregiudicatezza.

In qualche modo è un ritorno al passato, quando Jimmy campava da piccolo truffatore, senza però dimenticare gli anni passati a studiare per aiutare/impressionare il fratello. Il Jimmy di oggi è deluso dal tradimento familiare, ma nel frattempo è più colto e preparato, e i suoi raggiri diventano più articolati e complessi rispetto alle vecchie truffe che metteva in piedi con Marco nel buio dei vicoli cittadini.

È dunque un Jimmy che diventa più conscio dei propri mezzi, ma dal lato oscuro della barricata. Per ora sembra andargli bene anche in amore, con Kim affascinata dalle sue abilità, ma sappiamo che Jimmy sta percorrendo una china in discesa che Kim non potrà seguire fino in fondo.
Ed è in questa tensione, in questa lenta ma inesorabile discesa da Jimmy a Saul, che continua a inserirsi l’interesse per il racconto, nella consapevolezza che in quelle tappe che ancora mancano potrebbero trovarsi avventure imprevedibili o uno stile che continuiamo ad amare alla follia.
Uno stile come quello che porta Jimmy a spegnere l’interruttore su cui c’era scritto “non premere mai”. Non succede assolutamente nulla, ma non è quello il punto: il punto è che Jimmy sta smettendo di fare ciò che ci si aspetta da lui.

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