21 Aprile 2022

È tornata Better Call Saul. Per l’ultima volta. di Diego Castelli

Non so se siamo pronti per lasciare l’universo di Vince Gilligan, ma Better Call Saul sta davvero per finire

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SPOILER SUI PRIMI DUE EPISODI DELLA SESTA STAGIONE

Questa non è esattamente una recensione. O meglio, in parte lo sarà, ma il punto non è quello. Il punto è prendere coscienza della vita che scorre.
È iniziata la sesta stagione di Better Call Saul, quella dichiaratamente conclusiva, e quindi è stata l’ultima volta che abbiamo atteso con ansia e trepidazione il ritorno di una serie di Vince Gilligan, nel magico mondo di Breaking Bad.

Considerando che le avventure di Walter White (e indirettamente di Saul Goodman) sono iniziate a gennaio 2008, sono più di quattordici anni che seguiamo questa storia, che le stiamo dietro fra crisi economiche, pandemie, guerre, vittorie agli europei e mondiali visti da casa. Quando abbiamo iniziato a guardare Breaking Bad, non esisteva Netflix, o quanto meno la Netflix di oggi (e ora Better Call Saul la guardiamo proprio lì). Obama non era ancora diventato presidente degli Stati Uniti, quando ci siamo immersi per la prima volta in questo universo fatto di deserti, confini, gangster, strane inquadrature e passioni esacerbanti. Che diamine, non esisteva nemmeno Serial Minds.

Ora, quattordici anni e due serie dopo, siamo alla fine, o forse siamo all’inizio, visto che l’ultima stagione di Better Call Saul (che è in larga parte un prequel) terminerà probabilmente molto vicino al primo incontro fra Walter White e Saul Goodman.
Comunque la guardiate, è stato un viaggione, e l’abbiamo quasi concluso.

Un viaggione per noi, ma anche per il buon Jimmy McGill, ormai definitivamente trasformato in Saul Goodman.
Di fatto, Better Call Saul è divisa in due, con una prima metà abbondante dedicata alla nascita di questo alter ego, come forma di emancipazione e fuga da un nome e da un’eredità che cominciavano a essere soffocanti e che erano incarnate dal fratello di Jimmy, Chuck.

Uscito di scena quest’ultimo, Better Call Saul ha cominciato ad assomigliare un po’ di più a Breaking Bad, anche perché nel frattempo sono arrivati altri personaggi ben noti agli amanti della vecchia serie, da Mike a Gus Fring. Non è un caso che i primi due episodi della sesta stagione raccontino una storia che è equamente distribuita fra le vicende di Saul e Kim da una parte, e tutta la combriccola criminal-ispanica dall’altra.

Anzi, mi viene da dire che proprio quelle sono state le scene migliori: la tensione legata alla fuga di Nacho, alla sopravvivenza di Lalo, e al tentativo di Gus e Mike di tenere le redini di una situazione che rischia di sfuggirgli di mano, ha rappresentato buona parte dell’intrattenimento di questa doppia premiere, e anche il terreno di maggior sperimentazione visiva. Tutti e due gli episodi si crogiolano in un’atmosfera da noir consumato, con un continuo gioco di luci giallognole e ombre profonde che rispecchia il gioco di continui segreti e sotterfugi dei personaggi, e che in alcune singole inquadrature arriva a vette altissime, che quasi mi hanno fatto pensare a Blade Runner, per dire il tipo di sensazione da “altro mondo” trasmessa da quelle immagini.

E però, allo stesso tempo, il fatto che Jimmy sia definitivamente diventato Saul, e che la storia sia sempre meno legal-familiare, e sempre più criminosa, non toglie il fatto che per il percorso di Saul Goodman non sia ancora completato, anzi.

Il personaggio chiave, in questa fase, è in realtà Kim.
Fin da quando avevamo appreso della realizzazione di uno spin-off / prequel dedicato a Saul Goodman, e soprattutto dopo aver visto i primi episodi, avevamo capito di stare assistendo a una vicenda non troppo diversa da quella di Walter White: la storia cioè di un uomo che non vuole fare male a nessuno e che punta a una vita tranquilla con qualche piccola soddisfazione, che però si trova di fronte un destino beffardo che lo spinge ad usare certe qualità moralmente discutibili che nemmeno sapeva di possedere, ma che sono in grado di oliare i meccanismi del fato in modi talvolta troppo allettanti per poter fare finta di niente.

L’intento era dare profondità a un personaggio che in Breaking Bad sfiorava la macchietta, e che Vince Gilligan ha voluto approfondire per mostrare che quella macchietta è in realtà la maschera da giullare indossata da un uomo che non è sempre stato così, che giullare lo è diventato, e che non necessariamente ama esserlo, ma semplicemente non può farne a meno.

Dove si piazza Kim in questo discorso? Semplice, Kim, o meglio la sua trasformazione, è il vero prezzo che Jimmy ha pagato e sta pagando per diventare Saul Goodman.

Il processo non inizia in questa stagione, ma solo ora ne vediamo le vere conseguenze. Kim è sempre stata il freno all’ambizione e ai trucchetti di Jimmy, il grillo parlante che cercava di tenerlo sulla retta via. Ora però la situazione si è ribaltata, tanto è vero che, nei primi due episodi della sesta stagione, vediamo una Kim estremamente spregiudicata sia quando si tratta di inventare un modo per incastrare Howard, sia quando deve manipolare ex clienti di Saul per ottenere un vantaggio.

In queste due puntate, che arrivano dopo una quinta stagione in cui Jimmy era rimasto particolarmente segnato dai pericoli che aveva dovuto correre per conto di Lalo (ricordate la pericolosa traversata del deserto insieme a Mike?), il protagonista guarda a questa nuova Kim con sguardo preoccupato e amareggiato, palesemente conscio del fatto di averla in qualche modo “rovinata”, trascinata in un lato oscuro che lui aveva sempre considerato solo un mezzo per un fine, ma che ora, come detto, mostra il suo vero prezzo, come nei proverbiali patti col diavolo.

In questo senso, Kim è il vero perno di questa ultima parte di narrazione. Come sappiamo, la donna non compare mai in Breaking Bad, né l’abbiamo mai vista nei piccoli scampoli di futuro che ci sono stati mostrati nel corso di Better Call Saul.

Questo significa che Saul e Kim dovranno dividersi, lei se ne dovrà andare, forse potrebbe perfino morire. Sta insomma diventando l’ultimo scoglio, l’ultima barriera prima della definitiva scomparsa di Jimmy McGill, l’unico pezzo rimasto della sua umanità, che la serie dovrà in qualche modo sacrificare per completare definitivamente la transizione verso il personaggio che avevamo conosciuto in Breaking Bad.

Sapere in anticipo che questo avverrà non solo non ci toglie nulla del piacere del racconto, ma anzi conferisce al tutto un’atmosfera di tragica ineluttabilità. È come se Saul – come sempre magistralmente interpretato da un Bob Odenkirk capace di trasmettere ogni sfumatura della complessità emotiva del personaggio – sentisse che quel momento sta arrivando, senza però poter fare nulla per impedirlo.

Se unite quest’ansia da tragedia imminente alla suspense legata agli affari criminali di Gus e soci, all’affetto che proviamo per Nacho (un altro che in Breaking Bad non compare mai, aiuto), e alla solita, straordinaria capacità di Vince Gilligan di costruire questi scenari da sogno western polveroso, ecco che avete l’ennesimo, altrettanto ineluttabile motivo per non staccare gli occhi dallo schermo nemmeno per un secondo.

Finché ce n’è, finché ci daranno episodi.
Ci risentiamo alla fine.



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