31 Agosto 2016 7 commenti

Victoria, o come dovrebbero essere le fiction italiane di Marco Villa

Sarebbe potuta essere un polpettone, invece Victoria se la viaggia che è un piacere

Brit, Copertina, Pilot

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Victoria è una nuova serie creata da Daisy Goodwin e in onda su ITV. Se il nome dell’autrice non vi dice niente, è ok e non ci sono problemi, visto che è la sua prima serie tv dopo diversi programmi di intrattenimento. Se invece non conoscete ITV fate un po’ male, perché per capire Victoria è fondamentale sapere che va in onda sulla stessa rete di Downton Abbey. È infatti abbastanza ovvio che Victoria si rivolga a quello stesso pubblico, visto che gli ingredienti sono gli stessi, con l’aggiunta del mondo di Buckingham Palace che, con tutto il rispetto per Downton è un po’ un’altra cosa.

La trama principale si riassume in maniera piuttosto facile: è la storia di Alexandrina Victoria, che diventa regina giovanissima e da un mondo tutto fatto di cazzeggio e buone maniere si ritrova al centro dell’attenzione di tutto il mondo. La sua storia, caratterizzata da scazzi e compromessi politici da trovare, ma anche da alleanze strategiche che potrebbero prevedere matrimoni obbligatori, viaggia in parallelo con quelle della corte e della servitù, proprio come accadeva in Downton Abbey.

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Visto che abbiamo iniziato con questo parallelo, tanto vale continuare e dire che Victoria si porta dietro anche i difetti della serie di Julian Fellowes, ovvero un livello di scrittura dei personaggi che non è certo eccellente. Già nel pilot assistiamo a una serie di cambiamenti in Victoria che non vengono raccontati attraverso azioni o avvenimenti, ma spiegati a voce da altri personaggi. Per dire, la giovane reginetta decide di staccarsi da mamma e tutore e di affidarsi al primo ministro per consigli su come governare e interpretare il proprio ruolo: i due vengono mostrati nei primi brevi incontri e poi, poche scene dopo, il già citato tutore parla di un rapporto sconveniente che sta diventando imbarazzante. Si tratta del primo punto di conflitto della storia, ma la sua messa in scena viene accuratamente evitata in favore di un mini-spiegone.

Se da un punto di vista drammaturgico non è proprio una figata come scelta, si tratta ovviamente di un escamotage che rende la storia molto fluida e scorrevole. È questo l’aspetto più positivo dei primi due episodi: la due ore abbondanti di Victoria viste finora viaggiano che è un piacere e si fanno guardare con leggerezza e interesse. I polpettoni sulle regine adolescenti nel XIX secolo non sono proprio le mie serie preferite, ma devo ammettere che sarei andato avanti a sorbirmi i patemi di Victoria in binge-watching senza nessun problema.

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Certo, una parte di merito va anche agli interpreti, a cominciare dalla bellissima protagonista Jenna Coleman (Clara Oswald di Doctor Who), continuando per Rufus Sewell, ma il grosso della responsabilità è di un ritmo semplice e accattivante, che ti tira dentro senza sconvolgimenti e senza nemmeno permetterti di rendertene conto.

Victoria, insomma, è una serie nazionalpopolare che non è smarmellata, la perfetta pietra di paragone che sceglierei per indicare come dovrebbero essere le fiction delle reti generaliste italiane. Del resto, si tratta di un prodotto che presenta probabilmente dei costi elevatissimi di realizzazione in termini di location e costumi. Un prodotto che, però, sarà presumibilmente esportato in mezzo mondo. Ed è sacrosanto che sia così: Victoria è una serie larga, che potrà sembrare semplicistica a chi frequenta questo sito da tanto ed è impallinato come noi, ma che non deve essere liquidata in maniera facile, perché servono anche le Victoria, uh se servono. God Save the Queen, quindi, in attesa di The Crown di Netflix.

Perché seguirla: perché vi manca l’atmosfera di Downton Abbey e volete qualcosa che la ricordi

Perché mollarla: perché è nazionalpopolare e tutt’altro che ricercata



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