7 Luglio 2017 10 commenti

Orange is The New Black 5 – Qualcosa s’è inceppato di Francesco Martino

Non ci son più le detenute di una volta

Copertina, On Air

Orange

Mai come negli ultimi mesi ho iniziato ad avere la sensazione che Netflix abbia cominciato a perdere quell’aurea divina che ne aveva accompagnato l’uscita italiana. Non tanto per le comprensibili cancellazioni e nemmeno per le nuove produzioni originali (comunque non estranee al problema), ma piuttosto per un progressivo calo qualitativo dei suoi prodotti storici. Prendiamo House of Cards e giudichiamolo attraverso un metro di giudizio più o meno imparziale come Metacritic, un aggregatore di voti e recensioni che esprime un giudizio numerico su film, tv, musica e videogames. La serie con Kevin Spacey ha avuto un crollo verticale, passando da una media del 77 delle prime quattro stagioni ad un misero 60 con l’ultima andata in onda, lo stesso voto dato ad una roba di nome Prime Suspect Tennison per intenderci. Questa battuta d’arresto sembra aver contagiato anche Orange is the New Black, forse la serie che più di tutte ha risentito del cambio di marcia di Netflix, iniziando a dare i primi segni di cedimento già nelle passate stagioni.

OITNB (2)

Avevamo lasciato le detenute di Litchfield sull’orlo della rivolta, ritrovandole esattamente allo stesso punto. La quinta stagione parte infatti pochi secondi dopo il termine di quella precedente, iniziando subito in quinta (battuta pessima, lo so) una storyline che finirà per essere il primo passo falso di questa nuova stagione.
La rivolta, con la successiva presa del penitenziario, andrà avanti per tutti gli episodi, portando a un progressivo calo del ritmo e della narrazione, ma soprattutto mettendo in luce i difetti macroscopici nati e cresciuti nel corso del tempo.
Che Piper non fosse più la protagonista della serie lo sapevamo da tempo, ma che OITNB avesse sviluppato una dipendenza dalla coralità ossessiva è una novità: coinvolgere tutti i personaggi è senza dubbio un bene, farlo in modo forzato però no. Mai come in questa stagione si è avuta la sensazione che molti degli archi narrativi fossero stati costruiti con l’unico scopo di inserire quello e quell’altro personaggio all’interno della storia, finendo spesso per renderli inutili e fastidiosi.
Prendiamo Suzanne, passata da Crazy Eyes a un personaggio con una sua compiutezza, regalando ad Uso Aduba un ruolo di primo piano nel cast della serie. Ecco, prendete tutto e accartocciatelo per bene: Suzanne torna ad essere la matta del penitenziario, diventando ancora una volta una macchietta. La stessa morte di Poussey passa da motivo della rivolta e scusa per lasciare l’intera stagione sospesa, perdendo totalmente quello spessore di racconto umano e sociale a cui la serie ci aveva abituato.

OITNB (5)

La prova di tutto ciò sta proprio nel racconto della rivolta, svuotato di qualsiasi significato e reso quasi fastidioso per lo spettatore. Le detenute sono ormai totalmente immacolate, prive di colpe e quindi vittime del sistema che le ha costrette in un penitenziario privo di servizi ma pieno di doveri. Allo stesso modo le guardie, che per ragionamento logico dovrebbero essere dei poveracci messi a lavorare in una situazione infelice, sono i colpevoli da punire, da umiliare e da torturare. Per la prima volta vediamo quindi una netta contrapposizione tra buoni e cattivi, detenute contro il resto del mondo. Un gioco che non funziona, soprattutto quando fino alla passata stagione ogni ospite di Litchfield era rimasta perfettamente nella zona d’ombra che separa l’uomo dal carcerato. Il risultato è un guardie e ladri in cui le prime ricordano un po’ troppo gli Sturmtruppen e le seconde delle portatrici sane di buonismo.



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