24 Aprile 2019

Fosse/Verdon – Un po’ come Feud, ma con il ballo dentro di Marco Villa

Lui è un coreografo e regista geniale e scostante; lei è una ballerina eccezionale, l’unica in grado di farlo ragionare: ecco Fosse/Verdon

Copertina, Pilot

fosse-verdon

Quando si parla di un genere, di solito si intende horror o fantascienza. Se si è più anziani, magari un western. Poi ci sono tutti i sottogeneri del crime, ma lì si fatica a uscirne vivi. Quel che è certo è che si tratta sempre di canoni ben chiari, maturati nel corso degli anni dal succedersi di titoli che si mettevano – in modo più o meno conscio – nella scia gli uni degli altri. Forse non staremo assistendo alla nascita di un nuovo genere seriale, ma si può dire che qualcosa si sta muovendo: qualcosa che punta tutto su qualità di scrittura, cast e messa in scena e che si ambienta nel dietro le quinte biografico di una vera storia artistica. E che è prodotto dalla stessa rete: il network in questione è FX, che, dopo aver mandato in onda il Feud di Ryan Murphy dedicato al rapporto tra Bette Davies e Joan Crawford, sta proponendo in questi giorni Fosse/Verdon.

Disponibile in Italia dal 18 aprile su Fox Life, Fosse/Verdon è una serie che segue le vicende dei due artisti citati nel titolo, cioè Bob Fosse e Gwen Verdon. Lui è un coreografo e regista, vincitore di un Tony e di un Oscar per i suoi lavori a Broadway e Hollywood (tra gli altri, Cabaret e All That Jazz). Lei è una delle grandi ballerine della sua generazione, forse anche qualcosa di più, nonché musa, spirito, cervello e pure moglie di Fosse. La serie racconta proprio la loro relazione, andando avanti e indietro nel tempo e giocando a mischiare successi lavorativi e crolli personali, con un rapporto professionale puntellato da quello sentimentale. O viceversa.

Dopo aver perso Ryan Murphy, nel frattempo approdato a Netflix, FX ha deciso di affidare Fosse/Verdon a due autori esperti di Broadway: la serie è infatti firmata da Steven Levenson e Thomas Kail, a loro volta vincitori di Tony e con il secondo che può anche fregiarsi della regia di uno dei musical più importanti di questi anni, quell’Hamilton che tempo fa aveva occupato pagine di cronache di spettacolo e non solo. Per portare avanti il discorso inaugurato da Feud, i due sono partiti da quello che più di ogni altra cosa aveva tenuto in piedi quella serie, cioè due protagonisti eccezionali. E qui arriviamo alla parte più succosa della serie, perché Bob Fosse è interpretato da Sam Rockwell, uno che pare destinato a diventare il più bravo di tutti, mentre Gwen Verdon ha il volto tra il celestiale e lo schizzato di Michelle Williams. Insieme sono una coppia potentissima, che si candida di prepotenza ai prossimi Emmy e che riesce a tenere alto l’interesse per Fosse/Verdon anche se non si è gli spettatori ideali di questo show.

Uno show che è tutto basato sull’alternanza tra intuizioni geniali di Fosse, suoi crolli depressivi, sostegno di Verdon, trasformazione di coppia di quelle intuizioni in qualcosa di strutturale, successo e via da capo. Quello tra i due personaggi è un rapporto che per Fosse è malato, basato com’è su una gelosia professionale assoluta, che finisce per sfogarsi in un bisogno compulsivo di trovare sempre una nuova amante. D’altro canto, Verdon sembra non riuscire a sfuggire a un ruolo da crocerossina cui si è condannata da sola. Comunque la si guardi, una relazione terribile a livello sentimentale, ma eccellente da un punto di vista lavorativo.

La forza di Rockwell e Williams è quella di catturare la simpatia di chi guarda al di là della storia che viene raccontata, che ha sì degli spunti di interesse, ma che a naso – come già in Feud – difficilmente riuscirà a giustificare gli otto episodi in programma. Con in più il peso di non avere due icone assolute come Bette Davis e Joan Crawford. E però non si può negare la qualità e il senso del tutto, anche al di là dei gusti personali. E poi forse è un genere che sta nascendo, mica poco.

Perché guardare Fosse/Verdon: per la bravura dei protagonisti

Perché mollare Fosse/Verdon: perché la storia che racconta rischia di interessare un pubblico davvero ristretto

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