14 Gennaio 2020 1 commenti

Deputy – Gli sceriffi esistono ancora di Marco Villa

Deputy gioca a portare nel presente il personaggio del poliziotto tutto d’un pezzo e raggiunge il proprio obiettivo con un primo episodio divertente

Copertina, Pilot

Proviamo a fare l’identikit dell’uomo di legge della tv anni ‘80-’90: tutto d’un pezzo, incline alla violenza, con un forte senso etico, allergico alle regole e alla burocrazia, senza debolezze, convinto che un cazzotto in più sia sempre meglio di uno schiaffetto in meno. A partire da Walker Texas Ranger e passando per il più classico degli Steven Seagal cinematografici, un ruolo che ha avuto grandissima fortuna, ma che oggi non sarebbe più possibile. Troppe certezze, personalità e atteggiamenti troppo quadrati, eppure questo tipo di serie può continuare ad avere un senso. Ecco allora l’idea di prendere la sensibilità dell’eroe contemporaneo e di instillarla in un personaggio che sembra provenire da un’altra epoca. Il risultato è Bill Hollister, il personaggio principale di Deputy.

Creata da Will Beall (Training Day), Deputy è in onda negli Stati Uniti dal 2 gennaio su Fox e ha in Stephen Dorff (l’ultima di True Detective, tra le altre) il centro di tutto. Dorff è Bill Hollister, deputy del dipartimento degli sceriffi di Los Angeles. Piccola spiegazione: “deputy” normalmente vuole dire “vice”, ma qui si tratta di fatto degli agenti operativi, quelli sul territorio. Il dipartimento degli sceriffi si occupa di sicurezza e di vari compiti nel sistema carcerario, ma ovviamente nell’immaginario collettivo la parola “sceriffo” rimanda subito a western e gente a cavallo e non è un caso che su vari siti Deputy venga definito un western contemporaneo.

Del resto Bill Hollister è uno che non si fa problemi a tirare fuori la pistola e nel finale del primo episodio guida un assalto a cavallo al rifugio di un gruppo di criminali. In mezzo ci sono rapine, inseguimenti vecchia maniera e un po’ di scontri con le autorità: Deputy ruota intorno al fatto che lo sceriffo di Los Angeles muoia improvvisamente e che, in attesa di nuove elezioni, al suo posto venga piazzato ad interim il deputy più esperto, ovvero il nostro protagonista, per quanto fosse a tanto così dal licenziamento perché troppo insubordinato e violento.

Dicevamo in apertura che il riferimento è a serie non proprio fresche e innovative, ma Deputy ha il merito di riuscire a rendere attuale il suo protagonista, facendo emergere innanzitutto una passione sociale che lo porta a solidarizzare con gruppi di immigrati senza casa e poi – fatto non di secondo piano – un totale rispetto del mondo LGBT, incarnato da una sua collega interpretata da Bex Taylor-Klaus (Bullet nella terza stagione di The Killing, ve la ricordate?).

Taylor-Klaus si definisce non-binary e sullo schermo interpreta Brianna Bishop, una sorta di guardia del corpo dello sceriffo, molto androgina e con un curriculum di tutto rispetto. Tra Brianna e Hollister nasce un rapporto paritario pieno di ironia e prese in giro reciproche che riesce a dare spessore e rotondità a un personaggio a rischio piattume come quello dello sceriffo.

Tutto studiato a tavolino, ovviamente, ma non per questo l’operazione è meno interessante. E divertente, perché il primo episodio di Deputy viaggia veloce e non si incaglia mai, nemmeno quando vengono inserite le immancabili sottotrame più malinconiche. Se tutte le serie sono dei prodotti industriali, Deputy non nasconde in alcun modo la propria natura, perché si intuisce come nasca da una precisa volontà di ridare linfa a un genere con un target molto specifico. Al di fuori di un gruppo di appassionati di questo tipo di storie, Deputy non ha molto senso, ma sarebbe ingiusto non riconoscerle di aver raggiunto il proprio obiettivo. 

Perché guardare Deputy: perché aspettavate un nuovo Walker Texas Ranger

Perché mollare Deputy: perché è più divertente, ma pur sempre un procedurale

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