20 Luglio 2021

Gossip Girl: un sequel che davvero non ce la faccio di Diego Castelli

È tornata Gossip Girl, sono tornati i pettegolezzi a Manhattan, sono tornati i ricchi adolescenti newyorkesi: ma non è più la stessa cosa

Pilot

Come ci siamo detti tantissime volte, quando si giudica e analizza (per piacere o per mestiere) un qualunque prodotto culturale, la pretesa di essere “oggettivi” è di per sé una sciocchezza. E non perché non esistano elementi effettivamente oggettivi di analisi (se in una certa serie un personaggio muore, non è che si può far finta che non sia successo), ma perché il giudizio su quegli elementi è necessariamente frutto di un’esperienza e di un sentimento personali (il fatto che il suddetto personaggio sia morto può sembrarmi o meno una buona idea, ecc).
A complicare ulteriormente il quadro, c’è il fatto che questa soggettività non riguarda solo le differenze di opinione fra le persone: io la penso diversamente da te. Riguarda anche i potenziali disaccordi di una persona con se stessa: al cambiare di molteplici parametri quali età, convinzioni etiche e politiche che evolvono nel tempo, quantità di prodotti consumati in precedenza, per arrivare a situazioni del tutto contingenti tipo “mi metto a guardare un episodio quando ho sonno”, oppure “quando ho mangiato pesante”, oppure “un’ora dopo essere stato mollato dalla fidanzata”, tutto questo ha inevitabilmente un’influenza sulla nostra percezione di un prodotto culturale.
Certo, il mestiere, l’esperienza, e il desiderio più o meno intenso di dare un giudizio per lo meno onesto, possono aiutare, ma le trappole sono sempre dietro l’angolo, ed è un attimo bocciare una nuova serie perché hai visto il pilot mentre soffrivi di stitichezza.
Per parte mia, quando mi succede di detestare una puntata che magari, per mille motivi, pensavo che avrei apprezzato di più, parte subito un campanello mentale che mi spinge a dare almeno una seconda chance, giusto per escludere di averla vista in condizioni non ottimali.
Tutto questo preambolo per dire che, quando ho visto il pilot della nuova incarnazione di Gossip Girl, ho pensato “mio buon Gesù, io non voglio vedere più niente di questa roba”. Campanello d’allarme e vai col secondo episodio una settimana dopo. Risultato: “mio buon Gesù, mi pareva fossimo d’accordo, anche basta”.

La prima Gossip Girl, andata in onda su The CW fra il 2007 e il 2012, è sostanzialmente l’ultimo teen drama che ho seguito “veramente”.
Ambientata in una Manhattan piena di ragazzi ricchi e strafottenti, ma anche segnati da vari traumi familiari e da una voglia di felicità che accomuna tutti gli esseri umani a prescindere dal censo, Gossip Girl rappresentava una sorta di aggiornamento del classico teen drama: più cattivo, più sexy, più veloce, e naturalmente più tecnologico. Nata più o meno in contemporanea con gli smartphone che oggi usiamo tutti, Gossip Girl metteva in scena come mai prima di allora la potenza caotica nelle nuove tecnologie applicate a una situazione vecchia come il mondo, cioè il pettegolezzo scolastico.
Questa innegabile novità strutturale, unità al mistero legato alla vera identità di questa misteriosa “Gossip Girl”, e accompagnata infine dal carisma di alcuni personaggi molto ben scritti e molto ben interpretati (su tutti probabilmente Serena, Blair e Chuck), decretarono il successo dello show e l’imposizione di un’identità forte e duratura nel mondo seriale.

Ora quella stessa identità è stata recuperata per una nuova versione di Gossip Girl, prodotta da HBO Max, che si propone tecnicamente come sequel (è ambientata nella stessa scuola e porta memoria del lavoro della vecchia spettegolona virtuale), ma soprattutto come ulteriore aggiornamento.
Aggiornamento tecnologico, perché oggi i ragazzi si affidano meno ai blog e molto di più ai social. E aggiornamento sociale, politico e culturale, che si vede nel casting rigorosamente misto (dove la Gossip Girl originale era popolata quasi esclusivamente da interpreti dalla pelle bianca), e nel un più ampio ventaglio di gusti e identità sessuali. Da questo punto di vista, peraltro, vale la pena di notare che la produzione di HBO Max tende a essere anche più esplicita dell’originale in termini di quello che si può mostrare o meno sullo schermo.

Fin qui ci sta tutto. Certo, difficilmente si può percepire il senso di novità della prima Gossip Girl, ma questo è un problema comune di tutti i sequel, o ce lo facciamo andare bene o li bocciamo tutti. E anzi, il fatto che la voce “metaforica” di Gossip Girl sia ancora quella di Kristen Bell, è un tocco nostalgico che sicuramente piace.
Poi però arrivano i problemi, e sono problemi che nascono da scelte di campo molto precise che possono pure suggerire riflessioni interessanti, ma che mostrano proprio qualche fragilità in termini di tenuta complessiva.
Il primo di questi problemi è la scelta dell’identità di Gossip Girl.
Eh sì, perché in questa nuova serie non c’è alcun mistero, e fin dal pilot sappiamo benissimo chi si cela dietro la maschera della regina del pettegolezzo di quartiere. E la scelta, piuttosto sorprendente, è ricaduta su un piccolo gruppo di professori e professoresse della scuola (in particolare Kate, interpretata da Tavi Gevinson che comunque è soltanto venticinquenne). Questi insegnanti si trovano di fatto in balia dei ragazzi, i cui genitori sono così ricchi da avere il potere di fare licenziare un professore semplicemente con una telefonata. Ecco allora che Gossip Girl diventa uno strumento di controllo e di disturbo, con cui questi poveri impiegati provano semplicemente a conservare il proprio posto di lavoro.

Ora, come detto si tratta di una scelta abbastanza curiosa, che può trovare il suo senso proprio nel racconto di una società in cui la fluidità non è solo quella sessuale e di genere, ma anche intergenerazionale: in questi insegnanti così imbelli, che devono mettersi a fare i giochini per continuare a lavorare, vediamo il fallimento di una generazione che ha raggiunto la vita adulta, ma che non è riuscita a costruirsi il carisma e l’autorevolezza di quelli che sono stati adulti prima di loro (e che per esempio nella prima Gossip Girl contavano ancora qualcosa).
Il problema, però, è che è una decisione che oltre che togliere un piccolo elemento di mistero senza sostituirlo con niente altro, suona anche particolarmente strana: questa sorta di adolescenza esondata, che coinvolge sia gli effettivi adolescenti sia quelli che non dovrebbero esserlo più, avrà forse qualche valenza socio-antropologica, ma in termini narrativi finisce sia col far sembrare completi imbecilli gli adulti, che stanno lì a spiare i minorenni per fargli le foto, sia col togliere parecchio smalto agli stessi ragazzi, che vengono manipolati con facilità da persone che in teoria dovrebbero saperne molto meno di loro di come si usano i social.
Il fatto che la prima Gossip Girl fosse una persona effettivamente giovane, creava un mondo teen che gli adulti non riuscivano a penetrare del tutto (come d’altronde sempre succede), e ovviamente permetteva agli spettatori di far parte di quel mondo.
Nel momento in cui, invece, Gossip Girl diventa un gruppo di adulti che infinocchiano degli adolescenti ricchi e potenti (anche come influencer), ma evidentemente scemotti, con chi ci dovremmo identificare? Come orientarsi in questo miscuglio di mondi?

Si potrebbe obiettare che HBO Max non è The CW, e forse proprio per questo dà un ruolo un po’ diverso agli adulti, o a parte di essi: forse potremmo dirci che il target non sono più effettivamente gli adolescenti, bensì quelli che lo erano al tempo della prima Gossip Girl. Se ce lo diciamo, però, poi dovremmo anche capire perché queste persone che oggi hanno trenta o anche quarant’anni, dovrebbero seguire effettivamente delle vicende i cui protagonisti, volenti o nolenti, sono proprio adolescenti, e per di più adolescenti costantemente turlupinati dai loro professori che, invece di insegnargli vita e cultura, li stalkerano per i vicoli di Manhattan.

Ci sono poi altre scelte discutibili. Per una serie che in alcuni momenti vuole mostrare il suo debito verso il passato costruendo personaggi e scegliendo interpreti che somiglino in modo pure vistoso ai protagonisti di una volta (Thomas Doherty, interprete di Max, è un Chuck Bass non solo in termini narrativi, ma gli somiglia pure in viso, così come Emily Alyn Lind è una palese sosia di Leighton Meester, cioè la Blair della vecchia serie), stupisce il fatto che ci si sia completamente dimenticati dell’ironia.
La vecchia Gossip Girl era un drama, certo, ma era capace di strappare più di un sorriso, che si trattasse di certe battutine sostenute di Dan Humphrey, dei modi caricatissimi di Chuck, o dei continui, deliziosi battibecchi fra Blair e la sua domestica, Dorota. Era un’ironia leggera, saltuaria, ma che dava brio ai personaggi e stemperava situazioni troppo cupe.
Nella nuova Gossip Girl, niente. Non si ride mai, anzi, c’è sempre una cappa di pesantezza insostenibile. E se proprio sugli insegnanti sembrerebbe di poter vedere un minimo margine per qualche momento più leggero, il problema è che sono così sfigati (oltre che geni del crimine, a quanto pare), che non si sa mai come si deve reagire.

E se finora vi ho dato degli elementi “oggettivi” (l’identità di Gossip Girl, certe scelte di cast ecc) su cui ho aggiunto i miei giudizi “soggettivi”, ora mi resta da sottolineare nuovamente un aspetto che parte proprio dalla mia esperienza di visione.
Come dicevo all’inizio, ho fatto una fatica mondiale a finire il pilot. E quando mi sono messo a vedere il secondo episodio, sempre nell’ottica del “diamo ancora una chance”, ancora una volta mi sono dovuto trascinare fino alla fine, con la testa solcata da pensieri oscuri tipo “ma perché sto sprecando la mia vita dietro a questa cosa”.
In questo senso, i problemi sono sostanzialmente due: come da tradizione HBO, gli episodi durano un’ora piena, invece dei 40 minuti della tv generalista. Troppi, lunghissimi, pesantissimi.
In più, questa Gossip Girl, a dispetto del suo essere nuova, moderna, tecnologicamente aggiornata, è lenta da far paura. Succedono poche cose, e su queste poche cose ci sono dialoghi infiniti, piatti, che si limitano a descrivere i rapporti di forze in campo, senza riuscire a piazzare delle riflessioni che permettano di fare mezzo passo in più sulla comprensione delle psicologie e, banalmente, che permettano di divertirsi.
Giusto per farvi capire come sono messo, al momento di decidere di cosa avrei scritto questa settimana, la risposta per me era chiarissima: devo scrivere di Gossip Girl, perché non ho alcuna intenzione di guardare anche il terzo episodio.

Perché seguire Gossip Girl: avete amato l’originale e volete assolutamente tornare in quel mondo lì, no matter what.
Perché mollare Gossip Girl: non avete amato l’originale o, se anche l’avete amato, non volete vedere un sequel che non riesce ad avere la stessa forza.

PS Avete notato come non vi ho dato mezza informazione su quelle che sono le effettive dinamiche relazionali, romantiche e familiari fra i personaggi?
Ecco, un po’ è perché è un teen drama, cosa mai volete che succeda? E un po’ è perché di questa gente non mi interessa nulla dal minuto 1.

Argomenti gossip girl, hbo max


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