7 Aprile 2022

Julia: il biopic di HBO Max che fa venire fame di Diego Castelli

La vita di Julia Child raccontata in una serie di HBO Max piena di garbo, buona scrittura, e tonnellate di cibo

Pilot

Oggi parliamo di uno di quei casi, capitano sicuramente anche a voi, di serie di cui, a priori, non me ne fregava niente. Sarà perché è la biografia di un personaggio (Julia Child) molto famoso negli Stati Uniti ma quasi sconosciuto da noi, e che io conoscevo solo di nome. Oppure sarà che il campo in cui opera, la cucina, è una cosa di cui a me interessa davvero poco. Sono uno che al ristorante ci va anche volentieri, ma che normalmente si mangia la roba precotta mentre guarda le serie tv, che si annoia nell’esatto momento in cui mette una pentola sul fuoco, e che ritiene che un piatto preparato a casa mia sia tanto più buono quanto più breve è il tempo che ci metto a trovarmelo davanti.

Come spesso accade, però, le basse aspettative sono un toccasana per qualunque serialminder, e la qualità di uno show televisivo (ma vale per i film, per gli articoli di giornale e quant’altro) si vede anche nella capacità di farti appassionare a una storia di cui, sulla carta, non dovrebbe fregarti nulla.

Insomma, su HBO Max è uscita Julia, la serie di Daniel Goldfarb dedicata, per l’appunto, alla vita di Julia Child, ed è una discreta figata.

Due parole sulla protagonista. Casalinga sposata con un diplomatico americano, per cinquant’anni della sua vita Julia Child, nata McWilliams nel 1912, è stata proprio quello: la moglie di uno che aveva un lavoro abbastanza importante, che l’ha portato anche lontano dagli Stati Uniti.
Amante della buona cucina, sia da mangiare che da preparare, durante un lungo soggiorno in Francia con il marito, Julia imparò molti segreti della cucina francese, che alla fine, come ci viene spiegato fin dall’inizio del pilot, portarono alla scrittura, insieme ad altre due cuoche, di un manuale di cucina francese che ebbe discreto successo negli Stati Uniti a partire dal 1961.

Ma la storia non finisce qui. Tornata in America, agli albori della televisione, Julia ebbe l’intuizione che avrebbe cambiato la sua vita: un programma di cucina in tv, con cui insegnare agli americani i trucchi della cucina francese in maniera più diretta e personale, usando uno strumento che in quegli anni pionieristici stava cominciando a mostrare tutte le sue potenzialità.

Il risultato fu una rivoluzione, per Julia Child e per la televisione tutta: grazie soprattutto al programma The French Chef, iniziato nel 1963, Julia divenne IL volto della cucina in tv, di fatto fondando un genere che anche oggi (anzi, soprattutto oggi), suppura praticamente da ogni canale e palinsesto.
Julia, la serie, è la cronaca di quell’invenzione e di quei primi anni.

A decretare il successo della protagonista non ci fu solo l’idea della cucina in tv, e non è “solo” per quello che Julia Child è ricordata. A contare fu anche il modo e il momento: con la sua voce squillante, il suo fare garbato ma anche spiccio, pratico, poco istituzionale (aiutato da trasmissioni in diretta che non potevano essere editate), Julia irruppe sulla tv pubblica statunitense parlando alle donne d’America in modo franco e amichevole, segnando un punto di rottura non solo in termini di contenuti, ma anche di comunicazione. Non era nemmeno nato il femminismo (o meglio, la sua ben nota versione anni Settanta), e Julia Child dava alle casalinghe a stelle e strisce un’occasione di visibilità e rappresentazione che a quel tempo non avrebbero neppure potuto sognarsi (e che naturalmente assomiglia al desiderio di rappresentazione di molte minoranze dei nostri giorni).

Ed è proprio qui, nel racconto della rottura di un paradigma, che HBO Max ha trovato la chiave – supportata da un’ampia letteratura su Julia Child, comprese varie biografie e un’autobiografia postuma – per costruire una serie che non fosse solo cucina e personaggi buffi, ma anche uno spaccato di storia americana che andava ben oltre padelle e presine.

Il risultato, come accennato, è pregevole.
Partendo dall’interpretazione caricata ma mai macchiettistica di Sarah Lancashire (attrice inglese con due BAFTA in bacheca, per Happy Valley e Last Tango in Halifax), Julia è una serie di grande ricchezza visiva, dove ogni dettaglio è curato al millimetro, e in cui c’è una precisa coscienza di tutto quello che, in questa storia, può diventare strumento di coinvolgimento emotivo e perfino suspense.

Il desiderio di Julia di fare qualcosa in più della sua vita (senza per questo mettere in discussione l’amore e l’affetto per un marito che la supporta e le vuole molto bene), proiettato verso un mondo in cui le donne erano considerate, in termini lavorativi e culturali, poco più che tappezzeria, crea una serie di sfide successive ricche di opportunità e di pericoli, che siamo portati a seguire con trasporto, facendo inevitabilmente il tifo per questa donna così particolare e piena di risorse.

Non c’è solo la buona scrittura, comunque. O meglio, non c’è solo la macro-scrittura in cui contano i grossi avvenimenti e il ritmo con cui vengono concatenati. Julia lavora bene anche sul micro, sulle singole battute, sulla calibrazione delle emozioni, sull’alternanza fra momenti di leggerezza/risate e fasi più cupe, di timore e spaesamento.

Proprio come la vera Julia Child fu l’occasione, per le donne d’America, di vedere una persona reale, come loro, nello schermo del televisore, così Julia racconta di una corsa al successo che, pur in presenza di un personaggio molto forte e sopra le righe, non si dimentica di raccontare timori e inadeguatezze, fragilità e tentazioni di abbandono.

Il risultato è una serie coinvolgente e tenera, di altissimo livello produttivo, che ci dà l’impressione di conoscere un pezzo di storia di cui sapevamo poco o nulla, riuscendo anche a divertirci nel contempo.

E poi naturalmente c’è il cibo. La cucina non è solo una passione della protagonista, ma anche una tappa obbligata per chiunque voglia raccontare un personaggio come Julia Child. Nella serie di HBO Max, il cibo è onnipresente, cucinato e mangiato, venerato e temuto, fonte di gioia come di frustrazione. E non solo fa venire costantemente l’acquolina in bocca a chi guarda, ma si trasforma in strumento culturale, in chiave con cui scardinare le porte chiuse di un intellettualismo egoriferito che parlava solo di cose alte, dimenticandosi che gli esseri umani sono fatti anche di altri organi tipo lo stomaco, e che ciò che la gente mangia, e come lo mangia, ha sempre rappresentato un terreno importante di identificazione, confronto, perfino patriottismo (e se non lo sappiamo noi italiani…).

Julia, che in Italia è ancora inedita (speriamo in Sky), ha esordito con tre episodi abbastanza lunghetti, ma che si bevono (anzi, si mangiano) come se niente fosse. Un racconto ben scritto e ben messo in scena, che tocca tante corde giuste, e che fa inserire Julia dritta dritta nell’agenda di cose da seguire fino alla fine.
Magari con davanti qualcosa da mangiare, perché sennò è veramente una (piacevole) tortura.

Perché seguire Julia: non è solo il racconto di una personalità importante di cui noi italiani sappiamo poco. È che è proprio un bel racconto.

Perché mollare Julia: mi verrebbe da dire “se non vi interessa granché la cucina”. Ma era così anche per me, e Julia mi piace lo stesso, quindi boh.

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