29 Settembre 2022

Cyberpunk: Edgerunners – La serie che fa venire voglia di giocare di Diego Castelli

Con Cyberpunk: Edgerunners, Netflix mostra ancora una volta la sua abilità con le serie di animazione, ormai una garanzia

Pilot

Se siete fra quelle persone che amano girovagare su internet e sui social alla ricerca di meme divertenti e satira più o meno nerd, negli ultimi tempi sarete sicuramente incappati in qualche immagine che scherza sulla qualità del reparto animazione di Netflix, contrapposta agli inciampi della sua divisione live action.
E in effetti, così a colpo d’occhio, verrebbe la provocatoria tentazione di pensare che la piattaforma capace di tirare fuori Bojack Horseman, Big Mouth, Love, Deat & Robots, Arcane e tutte le altre, con anche un po’ di serie medie ma forse nessuna davvero “brutta”, sia prima di tutto una piattaforma di serie tv animate.

Ebbene, oggi è possibile aggiungere un nuovo tassello a quella percezione, perché Cyberpunk: Edgerunners, un anime che a prima vista potrebbe sembrare solo una costola promozionale di qualcos’altro, sta facendo sensazione come una delle migliori serie animate degli ultimi tempi.

Perché “costola promozionale”?
Semplice: Cyberpunk: Edgerunners è di fatto lo spinoff animato (anzi, il prequel) di un famosissimo videogioco, Cyberpunk 2077, uscito alla fine del 2020 su PC e console e a sua volta ambientato in un mondo futuristico inventato sul finire degli anni Ottanta per il gioco di ruolo da tavolo Cyberpunk, ideato da Mike Pondsmith.

Alla sua uscita un paio d’anni fa, Cyberpunk 2077 è stato un caso mediatico non indifferente, in buona parte “suo malgrado”.
Sviluppato da CD Project, la stessa casa di produzione che già aveva creato i famosissimi giochi dedicati a The Witcher, Cyberpunk 2077 era atteso dai videogiocatori come una possibile pietra miliare del genere, per la quale nel corso degli anni avevano speso tonnellate di aspettativa.
C’era pure Keanu Reeves, che prestava volto e voce a uno dei protagonisti.

Purtroppo, il gioco non riuscì a ottenere il risultato sperato, soprattutto (anche se non soltanto) per problemi di natura tecnica: se il mondo della storia c’era e l’atmosfera pure (con qualche precisazione che non facciamo qui perché siamo un sito di serie tv), un’enorme quantità di bug e imperfezioni tecniche, a tratti capaci di rendere il titolo quasi ingiocabile, rappresentarono una dura doccia fredda sia per i fan che per la stessa CD Project, costretta a subire perfino cause legali per le sue mancanze.

Due anni dopo, in una parabola non nuova nel mondo dei videogiochi, Cyberpunk 2077 ha attraversato un lungo periodo di sistemazione e revisione, e se nemmeno adesso è la bomba nucleare che molti speravano, oggi è comunque più facile giocarci e godere dei molti pregi che aveva anche all’inizio, e che erano nascosti sotto tutti gli altri problemi.

Ma smettiamo di parlare di videogiochi, o quasi, perché nel frattempo è uscita Cyberpunk: Edgerunners. Annunciata già prima dell’uscita del gioco ma rilasciata solo ora, a settembre 2022, Edgerunners sta avendo un effetto probabilmente calcolato e previsto, ma molto più importante, forse, di quanto sperato: nelle ultime settimane è infatti riuscita a convincere molti videogiocatori a tornare (o ad andare per la prima volta) a Night City, titillando la loro voglia di giocare con uno spettacolo che è puro Cyberpunk, e che quindi sembra lanciarti in mano il pad, invitandoti a un nuovo giro di giostra.

Un prequel, si diceva. Ambientata circa un anno prima degli eventi narrati dal videogioco, Cyberpunk: Edgerunners racconta la storia di David, un ragazzo come tanti, tirato su da una madre single e con pochi soldi, che riesce a studiare per il rotto della cuffia nella prestigiosa Arasaka Academy, una scuola d’elite finanziata, per l’appunto, dalla Arasaka Company, una delle mega-corporations che governano Night City, location principale tanto del gioco quanto della serie.

Perché se parliamo di cyberpunk, inteso come genere letterario e cinematografico, parliamo di questo, di mondi futuri e distopici in cui la politica è stata soppiantata dal più sfrenato capitalismo, mondi dove grandi corporazioni spersonalizzate governano con modi leciti e meno leciti una popolazione che ha accesso a strumenti tecnologici sempre più avanzati, reti fantascientifiche e potenziamenti cibernetici, ma non può certo dirsi più libera e più felice di qualche decennio prima.

In questo contesto, quando David si ritrova improvvisamente orfano e senza un soldo, decide di diventare un edgerunner, altrimenti detto “cyberpunk”, un mercenario potenziato che si unisce a una banda con la quale mettere a segno colpi e assassini mirati, con lo scopo dichiarato di farsi un nome e diventare una leggenda nel settore, e quello più semplice e meno dichiarato di tirare a campare e trovare un senso nella vita.

Nel cyberpunk, il tema della sempre maggiore ibridazione fra uomo e macchina è centrale, e così David è un ragazzo particolarmente portato all’installazione di innesti sempre più complessi e potenti, ma anche più pericolosi, che mettono a repentaglio la sua salute fisica e mentale. I “cyperpsicopatici” (che nel gioco sono fra i nemici più temibili) sono proprio persone spintesi troppo oltre nell’ibridazione con le macchine, al punto da perdere completamente il senno e diventare incontrollabili strumenti di morte.

Ad aiutare David, o meglio ad accoglierlo in questo nuovo mondo, c’è la banda di Maine, gigante forzuto e simpaticone, in cui troviamo anche Lucy, fascinosa netrunner, e Rebecca, una ragazzina tutto pepe e piombo abituata a sparare prima di parlare.

Se avete giocato a Cyberpunk 2077, basta già l’episodio pilota per farvi tornare la voglia. Con molta furbizia, la casa di produzione Studio Trigger (supervisionata dalla stessa CD Project) ha ben pensato di ricreare nell’anime alcune specifiche location del gioco, che non possono non essere riconosciute da chi è già passato a Night City: dall’appartamento di David (del tutto simile a quello di V, protagonista del gioco) al frequentato locale Afterlife, passando per tanti scorci cittadini e stradali, Cybperpunk: Edgerunners è una specie di continua strizzata d’occhio ai giocatori.

Come detto, però, non siamo in presenza di una mera operazione di marketing e di supporto a un altro prodotto, perché il successo che Edgerunners sta riscuotendo in queste settimane va ben oltre lo sguardo fra il nostalgico e il deluso di una fetta di gamers.

Pur non potendo contare su un budget paragonabile a quello di Arcane (lo si vede per esempio in molte scene pressoché statiche, in cui si usa il potere dell’atmosfera per nascondere il fatto che non si sta muovendo nessuno), Cybperpunk: Edgerunners lavora di stile, di character design, e bilancia con intelligenza i momenti di stasi e di dialogo con scene d’azione rocambolesche dove succede di tutto.

Se il genere cyberpunk offre già tutte le carte da gioco, senza che Edgerunners si inventi poi granché, il come quelle carte vengono giocate fa la differenza. In termini strettamente visivi, gli scorci al neon di Night City sanno togliere il fiato, così come il malinconico soffermarsi sui corpi dei protagonisti illuminati dai bagliori artificiali di una città piena di occasioni ma che, come dice a un certo punto Lucy, è anche una “gabbia di luce”.

Quando poi la serie decide di mostrare i muscoli, veri e metaforici, non ce n’è per nessuno. Le scene di battaglia, violente e adrenaliniche, sono magistralmente dirette, e le coreografie dei (cyber)corpi somigliano a danze di sangue e proiettili in cui il precario equilibrio fra umano e macchina viene rappresentato sotto forma di straordinario potenziale e, insieme, terribile sforzo (con un ovvio focus su David e sulle sue capacità, portate sempre più all’estremo di puntata in puntata).

Cyberpunk: Edgerunners, però, non è solo una serie genericamente animata, è proprio un anime. Lo stile giapponese non si vede solo nel tratto con cui sono realizzati i personaggi o nelle scene d’azione (un tratto che, vale la pena sottolinearlo per comprenderne la differenza, non è quello del gioco), ma anche in certi specifici stilemi narrativi dell’animazione nipponica.

Per esempio, il fatto stesso che David sia uno studente povero e bullizzato in cerca di rivincita, è un tema battutissimo dagli anime, così come quello di rapporti di amicizia e di amore che diventano il vero senso di una vita fin lì spesa per la realizzazione e il riscatto.
Sentimenti che diventano la base per un sempre maggiore dispiego di forze (mentali, prima che fisiche) e una sempre più spiccata attitudine al sacrificio per le persone amate.

Ma non solo. C’è stato anche spazio per scelte più specifiche e risvolti curiosi. Un esempio per tutti è Rebecca, che è tecnicamente una “loli”, ovvero un personaggio raffigurato con fattezze femminili molto giovani, diciamo appena entrata in un’ipotetica pubertà, e impegnata in comportamenti poco adatti alla sua età.
Se nel mondo manga e anime questo spesso sfocia in un erotismo più o meno marcato, nel caso di Rebecca siamo più dalle parti della violenza, con la ragazzina che non fa altro che sparare a tutti e dire parolacce.

CD Project non voleva che ci fosse una loli nella serie, non tanto per paura di qualche polemica, ma semplicemente perché non è un tipo di personaggio presente del gioco (che, come detto prima, ha un’ispirazione occidentale più che orientale).
Quelli di Studio Trigger però si sono opposti, impuntandosi sulla presenza di Rebecca, e indovinate un po’ qual è praticamente il personaggio preferito dai fan ora che la serie è uscita?
Ecco.

Cyberpunk: Edgerunners non è un prodotto perfetto. Non solo perché, come detto, talvolta mostra certi suoi limiti tecnici (nonostante le furbizie), ma anche perché la sua vena action prende spesso il sopravvento sulla costruzione narrativa, in cui si vede fin troppo la necessità costante di piazzare a intervalli regolari sparatorie e sbudellamenti vari, imponendo qualche limite a una crescita che può apparire fin troppo lineare e stereotipata per il genere a cui appartiene (per dirla più semplice: la storia non offre grandi sorprese).

I pregi, però, superano largamente i difetti. In dieci episodi, ma in realtà gliene basta uno, Edgerunners riesce a catapultarci in un mondo futuro e distopico che “esiste”, di cui percepiamo istintivamente la materia, la fisicità, che ci affascina per la sua luccicante bellezza, e ci spaventa con la sua infinita brutalità.

È una serie che lavora più di atmosfera che di intreccio, ma quell’atmosfera è fenomenale, così come di alto livello è la pura rappresentazione cinetica, cromatica, sensoriale di un mondo in cui tema centrale è la fusione di corpo e macchina (metafora della fusione della nostra vista con le forme della messa in scena).

Nonostante i suoi limiti, e grazie al fatto che lo provai su Playstation 5 invece che 4, mi era piaciuto giocare a Cyberpunk 2077, ma non pensavo ci sarei mai tornato, almeno non prima di qualche robusta espansione. Dopo Edgerunners, però, sento la Playstation pulsare di luce blu.
Mi sa che devo reinstallare…

Perché seguire Cyberpunk: Edgerunners: perché poteva sembrare un’operazione seriale accessoria, e invece funziona anche da sola, e non poco.
Perché mollare Cyberpunk: Edgerunners: è cyberpunk, è un anime, è violentissimo. Tutte cose che è bene sapere.



CORRELATI