25 Ottobre 2022

The Watcher su Netflix – Ryan Murphy contro i vicini di casa di Diego Castelli

Quando pensi che il rogito sia la fine dei tuoi problemi, e invece è solo l’inizio

Pilot

Ci sono momenti in cui si ha l’impressione che si potrebbe aprire un sito dedicato solo a Ryan Murphy, avendo comunque da scrivere tutti i giorni.
Questo è uno di quelli, perché dopo aver registrato l’enorme successo di Dahmer, diventata una delle serie più viste di sempre su Netflix, oggi dobbiamo parlare di un’altra serie del buon vecchio Ryan, naturalmente sempre per Netflix e uscita più o meno negli stessi giorni.
Parliamo di The Watcher, che guarda caso, mentre scrivo queste righe, è arrivata al primo posto delle serie Netflix più viste in Italia, perché Ryan Murphy è una specie di rullo compressore davanti al quale è meglio se ti sposti, sennò finisce male.

The Watcher, creata da Murphy in compagnia di Ian Brennan e basata su un articolo scritto sul New York da Reeves Wiedeman, sembra appartenere all’anima più artigianale di Ryan Murphy, quella che lavora sui generi e sull’intrattenimento (tipo American Horror Story, Glee o 9-1-1) più che sull’impegno politico e sociale (come in Pose, o la stessa Dahmer).
Ma naturalmente le due anime non sono mutualmente esclusive, anzi, e pure The Watcher sembra volerci raccontare qualcosa di più di una semplice storia thriller.

La trama è molto semplice e ci è già capitato di sentirne di molto simili in tanti horror e thriller di cassetta.
Una famigliola normale e (più o meno) felice decide di comprare una splendida casa nei sobborghi, nella quale investe tutti i propri risparmi. Ovviamente, però, la casa dei sogni si trasforma presto in incubo: prima di tutto per alcuni vicini di casa che sembrano un po’ troppo interessati alla preservazione dell’edificio così com’è, con tanto di richieste pressanti, appostamenti e uomini trovati direttamente in casa nel montavivande. E poi, soprattutto, per l’Osservatore, il “The Watcher” del titolo, l’autore misterioso di una serie di lettere che la famiglia Brannock si vede recapitare nella cassetta della posta, e che esprimono la volontà dell’uomo (o donna?) di tenere costantemente d’occhio la casa e i suoi occupanti, blandendoli e insieme minacciandoli di oscuri destini.

Come è facile immaginare, i Brannock non sono particolarmente felici di queste attenzioni, né vivono con gioia l’atteggiamento dei vicini, e da qui parte una serie in cui il tentativo di scoprire chi si nasconde dietro l’identità dell’Osservatore va di pari passo con un’ansia sempre crescente e un sempre più pressante senso di accerchiamento, al punto che i Brannock finiscono col non fidarsi più di nessuno, compresi loro stessi.

Come si diceva, The Watcher sembra appartenere all’anima più artigiana di Ryan Murphy, nella misura in cui, più che un commento espressamente politico, la volontà sembra quella di costruire un intrattenimento che funzioni in primo luogo come tale, senza tantissimi altri fronzoli.

In realtà, però, vedremo fra poco che proprio quell’aspetto inciampa in qualche problema di troppo, mentre invece emerge un livello filosofico che è meno scontato di quanto si sarebbe potuto pensare.
Raccontando dell’ossessione per una casa da parte dei nuovi proprietari, dei vicini tutti e dell’Osservatore, Murphy e Brennan sembrano raccontarci anche di un certo modo di essere borghesi e di essere americani.

La frenesia per il possesso delle cose materiali, la modellazione della propria identità sulla base di luoghi fisici e concreti, la difesa dei propri spazi dalle ingerenze esterne, raggiungono molto presto un parossismo tale da andare ben oltre il semplice gioco della suspense, per raccontarci di un mondo chiuso, incapace di aprirsi al nuovo e al diverso, incancrenito sulle proprie posizioni tradizionali e disposto alla follia pur di preservarle.

Se dunque, molto spesso, Ryan Murphy si dedica al racconto degli ultimi, degli emarginati, delle minoranze, qui il discorso non cambia, ma il fuoco è sull’altro lato della staccionata, perché sotto i riflettori finisce, metaforicamente, l’America più conservatrice e immobile, quella per cui anche cambiare un infisso è sinonimo di tradimento dei valori e della tradizione.

Ma se questo è il discorso culturale e sociale magari meno evidente di altre volte, ma comunque ben presente, è paradossalmente sull’altro versante, quello del “semplice” intrattenimento, che The Watcher non riesce a mostrare chissà che smalto.

Della relativa banalità della trama abbiamo già detto, ma quello non sarebbe un problema di per sé. Una storia di genere non prevede necessariamente grandi sorprese in termini di concept.
Il fatto è che The Watcher non riesce a portare sempre a casa quello che vorrebbe. Certo, la tensione c’è, il crescendo di frustrazione e ansia pure, ma senza che si riescano a mettere in campo soluzioni particolarmente impattanti o (stavolta sì che servirebbe) sorprendenti.

Soprattutto, mi sembra che la trama gialla fatichi a ingranare come dovrebbe. È chiaro che The Watcher mette sul tavolo un gruppo di personaggi che, ora l’uno ora l’altro, servono sia a portare nuove informazioni e risvolti, sia a diventare sospettati. In The Watcher si sospetta di tutti e di nessuno, e le indagini della famiglia Brannock ribaltano continuamente le carte in tavola, grazie al ritrovamento di nuovi indizi che spostano l’attenzione da una parte all’altra.

Però è tutto molto meccanico, anche abbastanza scontato, e si ha spesso l’impressione che nuovi indizi e svolte arrivino “perché sì”, perché servono e ce n’è bisogno, senza però trovare una grande organicità.
(fra parentesi, è ovvio che in una qualunque trama gialla sia tutto arbitrario, perché il ritrovamento di un indizio lo decide l’autore, ma il trucco è o dovrebbe essere quello di farci dimenticare che un autore c’è).

Anche il finale, che non svelo qui, è estremamente funzionale all’impostazione filosofica e sociale della serie, ma non per questo particolarmente soddisfacente in termini puramente narrativi.
Funziona se si ha voglia di fare quel passo in più sul piano filosofico, ma può lasciare l’amaro in bocca se, possibilità che la serie contempla, si segue il racconto prima di tutto per farsi coinvolgere dalla sua progressione e dalle sue (pur non incredibili) sorprese.

Una nota di merito va invece data al cast. In The Watcher ci sono molte facce ben note, dai coniugi Bobby Cannavale e Naomi Watts all’agente immobiliare Jennifer Coolidge, dalla vicina Margo Martindale a Mia Farrow, che insieme a Terry Kinney dà vita a una coppia fratello-sorella incredibilmente fastidiosa e che richiama iconograficamente il famoso American Gothic, il dipinto di Grant Wood che funziona come ulteriore conferma di quell’attenzione per l'”America tradizionale” di cui si diceva poco sopra.

In particolare, Bobby Cannavale ha il compito di mettere in scena un uomo geloso della propria famiglia e del proprio successo professionale, che nella casa appena acquistata infila anche e soprattutto una necessità di affermazione e prestigio sociale. La progressiva caduta dei suoi sogni, unita agli angoli oscuri che la sua vita già prevedeva prima del rogito, consentono a Cannavale di costruire un personaggio sempre più frustrato e maniacale, ossessionato e umorale, che è forse il singolo elemento migliore di tutta la serie.

Sul resto, però, siamo una o due tacche sotto Dahmer, giusto per fare un confronto immediato con qualcosa di recente. Meno forte in termini strettamente cinematografici, meno potente (o, per lo meno, più sfumato e diluito) come commento politico, e in definitiva meno memorabile sul medio-lungo periodo.
Resta comunque una miniserie che fa il suo e che si può guardare con buon divertimento, a patto di non aspettarsi una rivoluzione che sicuramente non c’è.

Perché seguire The Watcher: buoni attori e buoni intenti, per una serie che si guarda con facilità ma che non tralascia un certo spessore intellettuale.
Perché mollare The Watcher: se guardiamo specificamente al giallo e al thriller, abbiamo visto serie migliori.



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