26 Aprile 2023

Dead Ringers – Inseparabili: doppia Rachel Weisz, doppia ansia di Diego Castelli

Su Prime Video, l’attrice premio oscar interpreta due gemelle in una rivisitazione dell’omonimo film di David Cronenberg

Pilot

Come ben sapete, su Serial Minds ci capita spesso di denigrare la barbara abitudine del binge watching, pratica abietta e moralmente riprovevole, in cui talvolta indugiamo come simbolo della cupidigia che ormai pervade la società occidentale.
Ma al netto degli aspri giudizi di valore, a volte il binge watching può essere pure pericoloso, perché se becchi una serie abbastanza drammatica, pesante, deviata, morbosa, poi finisce che entri in una spirale oscura che ti lascia a terra come uno straccio vecchio.
È il caso di Dead Ringers, in italiano Inseparabili, che è una miniserie tanto bella quanto opprimente.

Disponibile su Prime Video, Dead Ringers è la versione seriale di una storia già passata al cinema: aveva lo stesso titolo, il regista era il maestro David Cronenberg, e la vicenda si basava su un romanzo a sua volta ispirato a un vero fatto di cronaca, cioè la morte di due rispettati gemelli, trovati defunti in casa in uno stato di abbandono e disagio.
Nel film i due gemelli erano interpretato da Jeremy Irons, mentre nella versione seriale, creata da Alice Birch (già co-sceneggiatrice di Normal People, ma anche di Succession), troviamo la premio oscar Rachel Weisz, che dunque incarna la decisione di un gender swap che in questo caso sembra molto più sensato e fecondo di altri cambi-genere visti in questo periodo.

Le protagonista di Dead Ringers sono Elliot e Beverly, due gemelle identiche che lavorano come ginecologhe e vorrebbero aprire una loro clinica privata a sostegno delle donne incinte.
Le due sorelle, pur perfettamente somiglianti a livello estetico, sono anche molto diverse sia in termini di carattere, sia come aspirazioni professionali.

Elliot è la gemella estroversa, sboccata, sessualmente disinibita, quella che parla senza peli sulla lingua e che coltiva le ambizioni più forti. Sul lavoro, più che al sostegno materiale delle partorienti, si interessa alla ricerca medica, immaginando e studiando nuove metodologie per il concepimento e la gestazione che molto presto scopriamo essere molto, molto vicine ai confini etici normalmente associati a questo campo di studi.

Beverly, invece, è la gemella posata, timida, silenziosa, che ha il sogno di aiutare le persone e vuole cambiare il sistema dal di dentro, offrendo alle donne incinte una nuova varietà di servizi e ambienti in cui portare avanti (e a termine) la propria gravidanza eliminando le storture, gli impedimenti, spesso le umiliazioni, insite nella sanità americana.

Malgrado le differenze, il rapporto fra le due sorelle è strettissimo. In un modo che ben presto supera il semplice attaccamento e sfocia nel morboso, le due sorelle si scambiano mansioni lavorative e perfino partner sessuali (nello specifico, Elliot va a caccia di donne per Beverly), trovando l’una nell’altra un supporto che accarezza la codipendenza.

Tutto questo bel quadretto comincia a scricchiolare quando accadono contemporaneamente due cose: da una parte le gemelle si trovano di fronte alla possibilità di ricevere ingenti finanziamenti privati per l’apertura della loro clinica dei sogni, che comprenderebbe sia una parte ospedaliera-ambulatoriale, sia un laboratorio in cui lavorerebbe Elliot. Dall’altra parte, Beverly conosce Genevieve (Britne Oldford), un’attrice di serie tv (quando vediamo i cartelloni della sua serie disponibile su Prime Video ci viene il sorrisino metatestuale) di cui si innamora molto più che nelle precedenti scappatelle. Un amore che naturalmente incrina il rapporto a due con la gemella.

Dead Ringers è una serie estremamente densa. Piena di riflessioni etiche e filosofiche, colma di disagio psicologico, ricca di suspense, perfino interessante dal punto di vista tecnico, perché poche volte abbiamo visto serie tv in cui la compresenza sullo schermo di due personaggi interpretati dalla stessa attrice fosse gestita così bene.

Proviamo a distinguere due macro-temi distinti.
Il primo, che riguarda la superficie del racconto, è incentrato sulla storia in sé e per sé delle due gemelle. Buona parte della tensione drammatica della miniserie deriva dall’evoluzione del loro rapporto, prima strettissimo, poi inevitabilmente incrinato, con le varie sfumature nel mezzo e i continui ribaltamenti del caso, fino a un finale che è abbastanza simile a quello del film, pur con le robuste differenze dovute a una diversa evoluzione della storia (e non dico altro).

Tutta la relazione è basata, come detto, su una reciproca dipendenza che sfocia nel morboso e nel patologico. Per fare un esempio che si vede quasi subito, ogni volta in cui Elliot vede che la sorella potrebbe innamorarsi sul serio, rischiando così di allontanarsi, viene colta da una specie di bulimia nervosa che si sfoga sia con il cibo che con il sesso, fino a quando Elliot non riuscirà in qualche modo a ristabilire il suo ruolo granitico nella vita della gemella.

Il secondo macro-tema riguarda proprio la ginecologia, la pratica medica, e il corpo delle donne. Il cambio di genere rispetto al film, che tiene saldo l’ambito della ginecologia ma affidandolo a due protagoniste donne (una delle quali, Beverly, vorrebbe effettivamente avere un figlio), ci conduce sempre più a fondo in un abisso in cui le buone intenzioni si sporcano sempre di più, fino a uno o più punti di non ritorno.

Nel complesso, tutta la miniserie è pervasa da una specie di pessimismo di fondo nei confronti dell’umanità. Se infatti la storia prende le mosse dal lodevole desiderio di Beverly di aiutare le donne a vivere meglio l’esperienza della gravidanza e del parto (superando le storture di un sistema su cui, a onor del vero, ci si concentra poco), ben presto questo intento viene insozzato in più modi: le sue finanziatrici sono rose dall’avidità; la sorella non vede l’ora di provare qualunque esperimento, anche quello eticamente più discutibile, al solo scopo di maneggiare un potere quasi divino; più in generale, l’altruismo sembra essere davvero l’ultimo dei pensieri di tutte le parti in causa.

Quello che Dead Ringers ricostruisce è un mondo profondamente corrotto, economicamente e moralmente, e non è un caso che quasi tutte le persone peggiori della serie siano donne. Raccontare una storia di professionisti uomini che lucrano sul corpo delle donne sarebbe stato troppo facile, mentre Dead Ringers vuole raccontare una corruzione pervasiva, in cui il denaro e il potere diventano agenti inquinanti capaci di sporcare anche al più pura delle intenzioni.

Tutto questo ragionamento attiene soprattutto alle finanziatrici di Elliot e Beverly, capitanate dalla ricchissima Rebecca (Jennifer Ehle): che questa abbia o no un utero ha poca importanza, perché ciò che guida Rebecca è il profitto, e se anche la prospettiva di avere i finanziamenti per la sua idea spinge Beverly ad accettare quel denaro, l’invincibile bassezza morale del capitale (qui la faccio un po’ marxista) finisce col deturpare anche i buoni progetti.
Buoni progetti che, va da sé, finiscono con l’essere diretti solo a donne ricchissime che se li possono permettere.

Una spirale di oscurità aziendal-capitalista, a cui si aggiunge la speculare spirale personale di Elliot e Beverly, due persone a cui dovrebbe essere impedito di avvicinarsi a qualunque essere umano, mica solo alle donne incinte.

Questa sorta di devianza è ben rappresentata da una messa in scena cupa, distorta, malata, in cui un esplicito gusto per lo splatter sembra quasi iniziare come intento documentaristico in relazione ai veri processi del corpo durante il parto, ma che ben presto rivela invece la sua anima quasi horror.
In una serie che ha per (co)protagonista una donna che vorrebbe aiutare le altre donne a sentirsi meno sole e più accudite nella difficile prova della maternità, Dead Ringers opera un ribaltamento completo che suona come un’amarissima ironia: nella miniserie il corpo femminile finisce con l’essere soprattutto smembrato, sondato, usato come banco di esperimento, “utilizzato” per scopi che poco centrano con il benessere di chi quel corpo lo possiede.

Forse, usando questo cast quasi tutto al femminile, Alice Birch vuole dirci che il rispetto del corpo femminile e delle sue esigenze non c’entra tanto con il genere di chi c’è al potere, ma con il semplice fatto che quel potere esiste. Nel momento in cui potere e denaro diventano un fattore di scelta delle persone, ci sarà sempre chi tenta di ottimizzare quei due elementi a scapito di tutti gli altri, comprese quelle stesse donne che si pensava di proteggere.
(e in realtà, Elliot e Beverly sono insieme vittime e carnefici, perché i soldi messi da Rebecca diventano quasi subito un cappio al loro collo, o i fili attaccati alle braccia dei burattini).

Insomma, avete capito che Dead Ringers non è una serie propriamente leggera: da maschio che peraltro non è mai stato padre, non mi sento attrezzato al cento per cento per comprendere o, banalmente, per vivere tutti i sensi possibili di un prodotto del genere, che è risultato disturbante a me, ma immagino possa esserlo ancora di più per molto pubblico femminile.

Certo è che vedere sei episodi di fila di questa serie ti lascia con una senso di sconcerto e di abbandono che partendo proprio dalla vicenda vera dei due gemelli consumati da un rapporto psicologico tossico e debilitante, arriva a una riflessione più ampia sui rapporti umani e sulla necessità di eliminare dall’equazione di quei rapporti tutto ciò che rischia di piegarli sotto le perverse esigenze dell’egoismo e del profitto.

In questo senso, una visione difficoltosa e pesante, ma non per questo meno preziosa, proprio perché tocca un tema tutto sommato molto dibattuto (cioè il rapporto della società con il corpo femminile), cercando di mostrare la difficoltà, se non l’impossibilità, di trovare scorciatoie: non c’è una bacchetta magica da sventolare per ottenere una società più giusta, inclusiva e rispettosa. C’è invece un lavoro molto lungo e complesso di ascolto, di empatia, di costruzione di procedure e contesti nuovi. Ambizione, denaro e cliniche privatissime e ricchissime potranno forse fare il bene di qualche donna, ma non risolvono alcun problema alla radice, anzi.

Se invece vogliamo chiudere con una nota meno cupa, allora bisogna applaudire Rachel Weisz. È dai tempi di United States of Tara che le attrici/attori che interpretano più di un personaggio in una serie ci fanno drizzare le antenne, nel bene o nel male. Con Elliot e Beverly, Rachel Weisz costruisce due personaggi intimamene intrecciati ma diversissimi, per i quali la sfida vera non era, effettivamente, la messa in scena di due caratteri diversi, quanto la necessità di costruire un rapporto fra due persone che in realtà sono una sola, a livello pratico (un’attrice per due ruoli) ma forse anche metaforico, come due facce di una stessa medaglia.

La riuscita del lavoro di Rachel Weisz non sta tanto nel raccontare due donne diverse, quanto nel farci credere che quelle due donne esistono sul serio, così come fra loro esiste un rapporto che, complice certe meraviglie tecniche di cui dicevamo sopra, ci sembra vero, credibile, e dolorosamente malato.

“Malata” sembra forse l’aggettivo migliore per descrivere l’intera miniserie: malattia mentale dei protagonisti, malattia morale della società occidentale, malattia sistemica delle strutture che produce, perfino malattia visiva, sanguinolenta, disturbante di una messa in scena che non concede quasi mai un momento di sollievo, fino a un finale che arriva al parossismo e che lascia, ancora, il senso di una prigionia dietro un’illusione di libertà.
Serie che picchiano duro, ma che meritano proprio per questo.

Perché seguire Dead Ringers: per la capacità di costruire una storia densa e difficile, ma sempre interessante e comprensibile, guidata da un’ottima protagonista.
Perché mollare Dead Ringers: se siete donne che stanno per partorire, il livello di ansia potrebbe essere davvero troppo grosso.



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