2 Maggio 2017 26 commenti

American Gods: welcome to your new obsession di Diego Castelli

Un pilot poderoso per la serie tv tratta dal romanzo di Neil Gaiman

Copertina, Pilot

American Gods (4)

ATTENZIONE: QUALCHE SPOILER GENERICO

Quando ho saputo della produzione di una serie tratta da American Gods di Neil Gaiman ho subito voluto leggere il romanzo, che consideravo uno dei miei vistosi buchi letterari (che sono più numerosi dei buchi tele-seriali, tanto per capirci).
Conoscevo a grandi linee la storia, quella di un ex carcerato che, appena uscito di prigione e rimasto solo a seguito della morte improvvisa dell’adorata moglie, viene avvicinato da un uomo strano e misterioso, una mezza canaglia che lo assolda come guardia del corpo e lo conduce in un lungo viaggio per l’America, nel quale entra in contatto con un mondo magico e inaspettato, fatto di vecchi dèi arrugginiti e nuove divinità fredde e tecnologiche, pronte a soppiantare le prime per il dominio sul cuore degli uomini.

Di più non sapevo, all’epoca, e per quanto conoscessi lo stile di Neil Gaiman, non certo uno scrittore “d’azione”, mi aspettavo comunque un romanzo colmo di avvenimenti e che tenesse col fiato sospeso. Così non è stato, ma non è un male, anzi: American Gods, uscito per la prima volta nel 2001, è un testo onirico e introspettivo, in cui alcuni temi cardine – l’immigrazione, l’ibridazione culturale, la capacità e/o l’opportunità di combattere per conservare le proprie tradizioni – vengono trasfigurati in uno scontro fra divinità che assomigliano molto agli uomini, tutti presi dalla lotta per conservare un posto in un mondo in vorticoso mutamento.
Un romanzo che, più che sulla logica e il ritmo della trama, trova la sua forza nell’evocazione di immagini suggestive, mitologiche, sfumando il confine fra realtà e sogno, spolpando la cara e vecchia struttura del viaggio di (tras)formazione.

American Gods (5)

Si capisce dunque come, proprio per la sua cifra immaginifica, American Gods si prestasse benissimo a una trasposizione audiovisiva, eppure ci sono voluti 16 anni per arrivarci. Motivo? Più d’uno, probabilmente, e magari sono pure banali tipo “non era ancora venuto in mente a nessuno”. Certo è che ora, nel 2017, la versione seriale di American Gods appare quasi irruninciabile, perché i temi dello scambio culturale e dell’immigrazione (gli dèi di American Gods sono migranti tanto quanto gli uomini che li hanno portati nel nuovo continente), uniti a quello della tecnologia e del denaro come vere divinità contemporanee, sono perfino più attuali di quando il romanzo arrivò nelle librerie.

Perdonatemi il lungo preambolo, ma serviva a capire come la sfida raccolta da Starz fosse insieme molto semplice ma anche assai complessa: semplice perché American Gods sembra tuttora un romanzo fatto apposta per diventare una serie tv; complessa perché, di fronte a un testo diventato presto di culto, sbagliare diventa semplicissimo, dove lo stesso termine “sbagliare” può assumere diverse sfumature, a seconda di chi si trova davanti allo schermo.
Ebbene, per arrivare al nocciolo della questione, il pilot di American Gods è una figata, e lo è perché, nel mettere insieme tutti i dettagli, regala ai fan in attesa “proprio quella cosa lì”.

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Avevamo avuto buone sensazioni anche solo a sapere del posizionamento su Starz, una rete che in questi anni, da Spartacus a Black Sails, dai I Pilastri della Terra a Flesh and Bones, ha dato prova di essere a suo agio con racconti adulti e visivamente stimolanti, senza remore in fatto di sangue e sesso, che nel romanzo di Neil Gaiman, pur senza eccedere, di certo non mancano. Ma l’hype vero era arrivato nel sapere che al timone della nave c’era Bryan Fuller, la mente deviata e meravigliosa dietro le cupe follie di Hannibal.

Di fronte al pilot, poi, ci si rende conto che è davvero tutto al suo posto, a partire dai due protagonisti: Ricky Whittle (il Lincoln di The 100) è un ottimo Shadown Moon, ragazzone silenzioso e cazzuto che si porta nello sguardo un dolore nascosto e una lontana malinconia, un vado scopertosi solo e vuoto pronto a essere riempito; e da chi, se non dal sempre eccellente Ian McShane, un Mr. Wednesday semplicemente perfetto, fatto di sguardi ambigui e strana filosofia, allo stesso tempo mentore di Shadow, predicatore pagano e pietra angolare dello scontro epico che ribolle sotto la superficie delle pianure americane e dei bar di periferia.

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Ma il lavoro vero, come accennato, è visivo, e l’impressione che si riceve dal pilot è un po’ quella sperimentata con Legion: un grandioso laboratorio di sperimentazione, in cui gli autori non si occupano solo di far evolvere una trama, ma si fermano ogni volta che è possibile per darle forma e colori inaspettati, e per fissare nella mente dello spettatore immagini che non dimenticherà facilmente.
In questo senso, vale la pena sottolineare un elemento più degli altri: per quanto giochi molto sul piano del sogno e della metafora, American Gods è tutt’altro che una serie “rarefatta”. Al contrario, le immagini sono quasi sempre vivide, definite, densissime, illuminate da una fotografia metallica che, insieme ad alcuni elementi di stile non nuovi alle produzioni di Starz (l’uso massiccio di computer grafica e ralenty, per esempio), trasformano le visioni di Shadow in qualcosa di più rispetto a semplici scherzi notturni dei neuroni. Ogni tanto si rischia perfino di esagerare, quando lo slow motion e i fiotti di sangue rievocano l’anima più tamarra di Spartacus, ma si riesce sempre a restare al di qua dello stuzzicante ma pericoloso confine fra il fantasy e il ridicolo.

Avendo letto il libro, e ritrovando tutto ciò che speravo di trovare nelle forme in cui me lo aspettavo (o per lo meno speravo), mi è difficile giudicare con precisione l’effetto di un pilot del genere su chi non conosce l’originale letterario, e sapete che da queste parti stiamo sempre molto attenti alla capacità delle serie tv di viaggiare con le proprie gambe.
Allo stesso tempo, la ricchezza e la cura dei dettagli mi pare così evidente, da togliere qualunque dubbio circa la capacità di American Gods di diventare una serie con una propria cifra e identità, e questo senza neanche considerare le dichiarazioni degli autori, che hanno specificato la volontà di inserire qualche sorpresa anche per i fan del romanzo.

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L’impressione, a conti fatti, è quella dell’inizio di un viaggio. Onirico, incasinato, potente, misterioso, in cui un uomo (e per estensione tutti noi) entra in contatto con un divino che, più che una realtà trascendente e immacolata, è uno specchio carnale e sanguigno dei nostri desideri e dei nostri difetti.
L’ovvio rovescio della medaglia, per una parte non necessariamente piccola del pubblico, sarà proprio l’andamento oscillante del racconto, tutt’altro che dritto e rapido, ma al contrario pieno di curve e vicoli bui.
Ma il nostro consiglio è di buttarcisi a pesce, sapendo che Starz sta seguendo gli insegnamenti di Wednesday: “Tutto sta nel far sì che le persone credano in te. Non si tratta dei loro soldi, ma della loro fede.”
Ecco, caro Fuller, noi abbiamo fede in te, facci sognare.

 

Perché guardare American Gods: il pilot coglie in pieno l’atmosfera onirica e misteriosa del romanzo, lasciando lo spettatore con poche certezze e molte emozioni.
Perché mollare American Gods: se cercate un intrattenimento pulito, lineare e facile, beh, non lo sarà.

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