7 Marzo 2011 2 commenti

How I Met Your Mother – Le meraviglie della sesta stagione di Marco Villa

Barney e soci non danno segni di cedimento

Copertina, I perché del mondo, Olimpo, On Air

Noticina: vi avverto quando iniziano gli spoiler.

How I Met Your Mother ha un rapporto complicato con l’Italia. Non si spiega altrimenti il motivo per cui non riscuota almeno il successo raggiunto a suo tempo da Friends. Paga senz’altro la pessima scelta di Italia 1 di programmarlo nel pomeriggio, paga soprattutto la decisione idiota di affibbiargli un titolo italiano di rara demenza.
E alla fine arriva mamma è una cosa che non si può sentire. Sa di provincia italiana degli anni ’60, di tarallucci&vino all life long, di un insulso film con Jennifer Aniston (chiedo perdono per la ripetizione causata da “insulso” e “Jennifer Aniston”). Per questo, in Italia non avremo mai il culto di Barney Stinson ed è una cosa di cui bisogna davvero dispiacersi, poche palle.

Nel frattempo, infatti, How I Met è arrivato alla sesta stagione ed è quanto mai in salute, tanto che nei giorni scorsi CBS ha annunciato il rinnovo per la settima e l’ottava annata. La differenza con le altre sitcom da appartamento/pub o altri telefilm americani è insieme semplice e unica. How I Met, nel corso degli anni, ha creato un’epica tutta sua. Dove per epica si intende una narrazione forte, capace di creare un vero e proprio mondo. E per tutta sua si intende una declinazione originale e peculiare. La presentazione della serie l’ho già fatta qualche mese fa. Per questo oggi, a fronte dei nuovi episodi in onda in queste settimane, mi limito a segnalare due motivi che hanno reso grande la sesta stagione e il telefilm in generale.

Il primo motivo è legato al discorso dell’epica di cui sopra ed è l’esistenza di una vera e propria mitologia. Il concept di base della serie prevede che le stagioni, ma anche le singole puntate, non siano semplici elementi giustapposti, ma una serie di ingranaggi che portano sempre avanti il racconto verso quello che sarà il finale. Un po’ come per tanti fumetti americani, le vicende rotolano in modo inesorabile verso un punto d’arrivo. Si tratta di una scelta pesante a livello di scrittura, resa ancora più importante dalla volontà di creare continui corsi e ricorsi. E qui entra in gioco la mitologia. How I Met si diverte infatti a creare situazioni e personaggi che entrano in un piano narrativo diverso rispetto a quello lineare del racconto principale. Si pensi ad alcuni oggetti (l’ombrello giallo), situazioni (la capra nel bagno di Ted), esperienze passate (la gioventù canadese di Robin) o tradizioni (il codice dei bro di Barney). Nel decimo episodio della sesta stagione, questa mitologia si è arricchita di un tassello di tutto rispetto. Lo trovate in questo video, che ho uploadato solo per vvvoi, ma che YouTube ha percepito come in violazione dei diritti d’autore, impedendomi di inserirlo nel post. Fate uno sforzo, cliccate qui e guardate.

Visto? In questi tre minuti c’è tutto How I Met: i dialoghi, i codici (il panino che sostituisce la canna), i flashback. Con in più l’aggiunta di un interprete importante come Jorge Garcia.

Ecco, da qui in poi spoiler pesante

Un secondo motivo è la capacità di cambiare registro e tono del racconto. La serie è comica, fa ridere e pure tanto. Ha però il coraggio di buttarsi anche apertamente sul drammatico. È il caso del tredicesimo episodio della sesta stagione, che si conclude con la morte del padre di Marshall (tra parentesi: la paternità è uno dei temi portanti della stagione). Nel corso della puntata, nulla lascia presagire quanto sta per accadere. Lo spettatore, però, è messo in allarme da un giochino di scrittura: in ogni scena compare infatti un numero (su una rivista, un orologio, una lattina), a segnare un conto alla rovescia che parte da cinquanta e arriva allo zero nel momento in cui Marshall apprende la notizia. Tutto sembra essere normale, ma quel countdown riesce a mettere un minimo di tensione, cambiando in qualche modo lo stato d’animo con cui si guardano gli eventi.
Per ora mi fermo qua. Ci tornerò su, perché ne vale davvero la pena.

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