23 Settembre 2022

Andor su Disney+ – Star Wars aggiunge un’anima tutta nuova di Diego Castelli

Con Andor, Star Wars si permette una deviazione più cupa e adulta, con diversi pregi e un unico difetto potenzialmente grosso

Pilot

QUALCHE SPOILER (MA NON TROPPI) SUI PRIMI TRE EPISODI DI ANDOR (E SU ROGUE ONE)

Avvicinandomi ad Andor, la nuova serie di Disney+ appartenente all’universo di Star Wars, credevo/speravo di poterla avvicinare con una certa semplicità, con il banale obiettivo di guardare tre episodi, giudicarli in base al mio gusto, infiocchettare un po’ il tutto, e poi ciaone.

In realtà, proprio per il mondo a cui appartiene e per l’approccio che sceglie di adottare nei confronti di quel mondo, Andor suggerisce pure qualche riflessione di respiro più ampio sul come e perché si decidono di raccontare certe storie, in un certo periodo storico, in un determinato contesto.

Comunque ora facciamo le cose una alla volta.

Cominciamo col dirci cos’è Andor.
Si tratta di un… prequel del prequel. Racconta infatti la vita di Cassian Andor (interpretato da Diego Luna) nei cinque anni precedenti agli avvenimenti raccontati nel film Rogue One, diretto da Gareth Edwards e co-sceneggiato da Tony Gilroy, all’epoca famoso soprattutto per essere lo sceneggiatore di tutta la saga di Bourne, e che ora è anche il creatore, showrunner e produttore esecutivo di Andor.

Dicevo “prequel del prequel” perché anche Rogue One è un prequel, dedicato a certi specifici eventi occorsi appena prima di Episodio IV, cioè l’inizio della saga di Star Wars.

Non so perché, ma sento il malsano bisogno di condensare in poche righe la faccenda anche per chi non avesse mai visto Guerre Stellari in vita sua.
Ce l’avete presente Darth Vader, giusto? Grosso, col casco nero, respira forte, strozza la gente a distanza. Ecco, Darth Vader è il braccio destro dell’Imperatore, e in Episodio IV li vediamo, fra le altre cose, a capo della Morte Nera, gigantesca stazione spaziale capace di distruggere interi pianeti.
Al termine di Episodio IV, Luke Skywalker riesce a distruggere la Morte Nera con un unico, piccolo missile, che sfrutta quello che per decenni è stato visto come un “difetto di fabbrica” della micidiale arma.

In Rogue One, uscito nel 2016, abbiamo poi scoperto che non era un difetto casuale, ma una fragilità inserita deliberatamente da Galen Erso, scienziato e progettista che, lavorando per l’Impero ma con in testa la volontà di combatterlo, era riuscito a inserire nei piani di costruzione il classico “punto debole”.
Quei piani di costruzione, all’inizio di Episodio IV, arrivano nelle mani della Principessa Leia, senatrice e leader segreta dei ribelli anti-imperiali.
Rogue One, di fatto, racconta la storia di come effettivamente quei piani arrivano a Leia, in particolar modo grazie agli sforzi di un piccolo gruppo di combattenti di cui faceva parte la figlia di Galen Erso, Jyn, ma anche, per l’appunto, Cassian Andor, che in quel momento ci viene presentato come un ribelle di lungo corso, che si è sporcato parecchio le mani nella lotta contro l’Impero.

Il passaggio di Andor da delinquentello spiantato a stimato ufficiale dei ribelli è esattamente la storia al centro di Andor, una serie che, già lo sappiamo, consterà di due stagioni da dodici episodi ciascuna.

Pur tenendoci per la fine le riflessioni più ampie cui si accennava all’inizio, è evidente che Disney, con Andor, sta cercando di proporre qualcosa che, in ambito Star Wars, non si era mai visto o quasi.
Al contrario delle altre serie finora prodotte all’interno del franchise (The Mandalorian, The Book of Boba Fett, le varie serie animate), Andor ha palesemente un piglio più cupo, sporco, fra virgolette “realistico”, perfino più del film da cui è tratto, che già mostrava questi caratteri un po’ più adulti del solito, mantenendo però anche elementi di intrattenimento leggero che qui per ora si vedono davvero poco.

Nei primi tre episodi finora rilasciati, Cassian ci viene mostrato come un giovane che tira a campare, sempre a un passo dall’avere grossi guai con la giustizia, pressato dal desiderio di ritrovare una sorella perduta (di cui poi facciamo la conoscenza in numerosi flashback che in qualche modo sono il prequel del prequel del prequel). Nelle primissime scene, poi, Cassian finisce in una mezza rissa in cui ci scappa il morto (anzi due) e che poi è il vero motore dell’azione, perché la fuga dall’autorità si intreccia con l’approdo fra le braccia di un’Alleanza Ribelle che, in Andor, non ha la faccia pulita della Principessa Leia e le cromature simpatiche di piccoli droidi, bensì il volto duro e carismatico di Stellan Skarsgård.

Prima di vedere gli episodi avevo già intravisto qualche commento/recensione estremamente entusiasta, e nei primi minuti ho fatto un po’ fatica a ritrovarmici, perché la serie parte molto lenta, si prende parecchio tempo per costruire il suo parco-personaggi, e le piccole vicende criminali di Cassian possono sembrare una cosa troppo piccola per una serie che, comunque, mostra una certa ambizione.

In realtà, se si ha la pazienza di guardare per bene i tre episodi (che non sono stati rilasciati insieme per caso), ci si accorge di una lenta ma costante salita di ritmo, che termina in una terza puntata dai toni prettamente western, con l’eroe buono braccato dalle forze dell’ordine cattive in un’ambientazione che, pur essendo fantascientifica, non può non far pensare a certe cittadine di frontiera dei classici western americani.

Non solo. Se si presta quell’attenzione “in più” che la serie ci chiede per coglierne le differenze rispetto alla media dei prodotti Star Wars, quelle differenze effettivamente si notano, e sono differenze di scrittura, ma anche e soprattutto di messa in scena.
Ci sono situazioni che in altre incarnazioni di Star Wars non avremmo mai visto, come quelle legate al sesso (amplessi, bordelli ecc). C’è una ricerca stilistica non indifferente nella costruzione delle scenografie e in quello che, più in generale, si chiama production design: il mondo di Andor è lontanissimo dai colori patinati della trilogia prequel di George Lucas, e sembra portare alle conseguenze più estreme le scelte fatte con gli ultimi capitoli della saga: nella rappresentazione degli spazi, degli ambienti, degli abiti, ci sono momenti in cui, più che di fronte a Star Wars, sembra di essere in un cyberpunk alla Blade Runner (mi ha colpito in particolare un momento in cui si vede uno strumento di comunicazione che, a conti fatti, è una buona e vecchia cabina telefonica).

A larghi tratti, dunque, Andor si allontana dalla fantascienza-molto-fantasy di Star Wars, per abbracciare altri generi o metageneri come il western e il crime, che forse non avevamo mai visto rappresentati in maniera così adulta in tutta la saga. Ci sono perfino certi echi da film sulla Guerra Fredda, con gli uffici più distaccati dell’Impero che hanno un chiaro sapore sovietico (se una volta l’Impero Galattico, anche per una questione di accenti, faceva il verso all’Impero Britannico, ora sembra che il riferimento si sia spostato più a est).
Coi flashback, poi, si aggiunge un ulteriore elemento in qualche modo “etnico”, perché Cassian viene da un pianeta boscoso poco toccato dalla tecnologia, in cui il primo incontro con le genti della Galassia racconta tutto il trauma dello scontro fra civiltà diverse, in cui non necessariamente quella più avanzata tecnologicamente è la migliore o la più giusta.
(Fra parentesi, nella composizione delle singole inquadrature e nel loro montaggio reciproco, i flashback sono sempre estremamente “coordinati” con il presente di Cassian, così da creare un continuo parallelismo fra le sue difficoltà del passato e quelle dell’oggi)

Se tutto questo è abbastanza oggettivo, perché banalmente è quello che si vede, darne un giudizio di valore è più complesso.
A me l’operazione sta piacendo, con i limiti e le opportunità che ho accennato fin qui: mi piace l’idea di un approccio originale al materiale, trovo tutto il comparto visivo ben realizzato e diretto da un’idea molto precisa e molto forte. Mi piace come il terzo episodio abbia saputo catalizzare in salsa western le tensioni montate fino a quel momento.
Di fatto, l’unica cosa che mi stava lasciando perplesso era una certa difficoltà a partire, con i primi due episodi complessivamente più mosci. Ma è un peccato non troppo grave, proprio perché acquista il suo senso guardando tre puntate che sono state effettivamente pensate per essere viste una dietro l’altra.

C’è però un’ulteriore punto di vista possibile, che riguarda quelle riflessioni più ampie di cui si diceva all’inizio.
Da una parte c’è la questione del prequel del prequel. Quella dei prequel sta diventando una mania, e bisogna ammettere che con Andor, prequel al quadrato, la cosa diventa un po’ stucchevole.
Per capirci: ho rivisto Rogue One appena prima di vedere le prime due puntate di Andor, il che significa che ho visto Cassian morire sulla spiaggia mano nella mano con Jyn Erso, pochi istanti prima di iniziare la visione di una storia che già so come andrà a finire.

E se alcuni prequel sembrano più sensati di altri, magari perché ambientati “molto prima” o perché basati sulla caratura gigantesca di certi personaggi (in questo senso, la stessa trilogia prequel di Star Wars ha una ragion d’essere maggiore di altri esempi simili), non è che si sentisse con grande forza la necessità di scoprire i primi passi di un personaggio che fino a quel momento avevamo visto solo una volta, e che non era nemmeno il protagonista del suo film.

Ma poi c’è anche una questione più ampia, che così a occhio mi sembra alla base della maggior parte delle (non moltissime) stroncature alla serie, e che si può riassumere in una frase magari provocatoria, ma non campata per aria: Andor non è Star Wars.

Se ci diciamo che Star Wars, come franchise, come mondo, come stile narrativo, è una cosa, Andor sicuramente è un’altra. Non ne condivide l’approccio fantasioso e colorato, riduce al minimo gli elementi di simpatia, sembra richiamarsi ad atmosfere che rimandando ad altri tipi di cinema e di intrattenimento su schermo.

Inutile dire che questa è una scelta legittima, quella di Star Wars è una storia inventata, ci si può fare di tutto, e dopo quasi cinquant’anni un po’ di sperimentazione potrebbe pure essere necessaria.
Allo stesso tempo, però, potremmo essere di fronte a un altro caso Marvel, cioè il caso di un universo narrativo che, nell’ottica di una sua commercializzazione a quante più fasce possibili di pubblico, viene ridotto a mero contenitore in cui è possibile inserire qualunque cosa, con buona pace dello “spirito originario”, quel concetto sempre un po’ fumoso ma di cui tutti abbiamo comunque una certa coscienza.

Io non arrivo a dire che Andor tradisce Star Wars, perché forse sono uno di quelli a cui le deviazioni laterali non dispiacciono, se fatte con gusto e con cognizione di causa.
Però è anche evidente che un tot di fan di un certo modo di “essere” Star Wars, di fronte ad Andor potrebbero provare il disagio di non sentirsi davvero a casa.
E da questo punto di vista, avrebbero pure ragione.

Perché seguire Andor: i primi tre episodi mostrano una precisa idea di stile, una tensione inizialmente bassina ma capace di crescere, e un livello produttivo molto alto.
Perché mollare Andor: per sua stessa scelta, è forse il capitolo della lunga vita di Star Wars che sembra meno… Star Wars.



CORRELATI