8 Ottobre 2010 3 commenti

The West Wing di Marco Villa

Come palazzo Chigi, ma con l’America

The West Wing è una serie creata da Aaron Sorkin e andata in onda su NBC per sette stagioni, dal 1999 al 2006.
La trama la sapete tutti: puntata dopo puntata si seguono le vicende del Presidente degli Stati Uniti e del suo staff, ovvero quelle persone che operano nell’ala ovest della Casa Bianca.

Nel cast, volti notissimi come quello di Martin Sheen (il Presidente), noti come quello di Rob Lowe (nella parte di Sam Seaborn e poi nel cast di Brothers & Sisters e Parks & Recreation) e noti solo in seguito come quello di Elisabeth Moss (figlia del presidente e oggi Peggy Olson in Mad Men).

Si tratta di una serie girata pressoché interamente in interni. Nella prima stagione, per dire, si contano su una mano le scene all’aria aperta, spesso utilizzate per mostrare colloqui riservati da tenere in luoghi meno affollati dell’ala ovest.
Perché va detto che l’ala ovest è uno dei posti più affollati del pianeta. Nei corridoi si rincorrono assistenti, responsabili della comunicazioni, addetti stampa, segretarie, capi di stato maggiore e altre varie figure che in qualche modo hanno a che fare con il governo degli Stati Uniti.

Raccontare questo insieme di persone non è facile.
Innanzitutto perché si parla di temi spesso non avvincenti (il credito d’imposta sulla produzione di etanolo?), in secondo luogo perché ci si trova in una zona grigia che occhieggia al mondo reale (sempre dalla prima stagione, la controversia India-Pakistan per il Kashmir), ma che ovviamente non può essere del tutto realistica.
Ulteriore problematica è lo stile di ripresa. Parliamo di uffici certo non spaziosi e di corridoi stretti in cui stanno a fatica due persone.

Ecco, proprio di fronte a questi problemi, The West Wing dimostra di essere una serie eccezionale. Senza dubbio tra le migliori prodotte dopo che ER ha dato una svolta secca al mondo della serialità, ricordando che la macchina da presa non deve essere usata per forza solo per campi e controcampi.
E in The West Wing questo è chiarissimo. Il problema della ripresa dei walk and talk è risolto con lunghi pianosequenza, girati con la steady che precede i due interlocutori, dando così allo spettatore il punto di vista di una vertiginosa camminata all’indietro.
Sommate una manciata di queste riprese nell’arco di pochi minuti e vedrete che anche le discussioni sul credito d’imposta vi sembreranno appassionanti come non mai.
Eccellenza registica che si unisce poi a una scrittura di livello altissimo, che decide di non fermarsi mai a fare spiegoni, riuscendo a dare allo spettatore le informazioni necessarie senza mettersi a disegnare schemi sulla lavagna.
Le puntate si aprono così in medias res, con i personaggi che discutono di nomi, argomenti e leggi che lo spettatore ignora completamente e che nel corso della puntata continueranno a sparire e riemergere, apparentemente senza un filo logico, in realtà rispondendo a una struttura di puntata pressoché chirurgica.
Tutti motivi che portano a una sola conclusione: una serie che parla di politica con leggerezza e scorrevolezza uniche.



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