30 Maggio 2011 1 commenti

Monroe – La risposta inglese al dottor House di Marco Villa

Neurochirurgo scontroso cerca motivi per scontrarsi

Brit, Copertina, Pilot

Ognuno ha le sue fisse. Per quanto riguarda i telefilm, al momento ne ho un paio e più che fisse sono insofferenze. La prima è quella per le serie neo-mucciniste, ovvero quelle in cui il concept è “mettiamo quattro ragazzoni mai cresciuti davanti a delle birre e vediamo cosa succede“. La seconda è quella per i personaggi costruiti per essere a tutti i costi strani, anticonformisti, diversi, in qualche modo figli di un House minore. Monroe l’ho iniziato con il sano pregiudizio de “la versione inglese del dottor House”. E alla fine il pregiudizio si è rivelato corretto, peccato che l’aggettivo “inglese” abbia fatto saltare il banco, salvando tutta la baracca e financo i burattini.

Come avrete intuito, si tratta di un medical, andato in onda lo scorso inverno su ITV e incentrato su un neurochirurgo di nome Monroe. Ovviamente non è un laureato come tutti gli altri, ma il genio, il più bravo e il più particolare dei medici di sua maestà. A casa ha una situazione sull’orlo del baratro, al lavoro si fa notare come quello strano. Duro con i suoi specializzandi – ma in fondo miglior maestro possibile, competitivo e sempre pronto alla frecciatina con i colleghi, in particolare con una collega cardiochirurgo con la quale si becca per decidere se conta di più la testa o il cuore. Oh, che metafora. Fin qui tutto quello che discende da House, compresa la scelta di intitolare la serie con il nome del protagonista e – non dimentichiamolo – la britannicità dei due interpreti principali, Hugh Laurie e James Nesbitt, entrambi perfetti nel proprio ruolo.

A questo punto, però, Monroe decide di prendersi un po’ di autonomia dal nume tutelare. La prima e più evidente è una mancanza di sociopatia: se House è il medico che cerca in ogni modo di non entrare in contatto con i pazienti, Monroe è invece interessato a capire problemi e questioni, non solo mediche, delle persone a cui apre il cranio. Ovviamente a modo suo e quindi senza banalità e retoriche, ma prendendo a scudisciate chi non si comporta bene. La più grande differenza, però, risiede nel tono e nel taglio della serie stessa: Monroe è inglese fino al midollo, o meglio è europea, o meglio ancora è non-americana.

Leggevo nei giorni scorsi l’ultimo libro di Amelie Nothomb (Una forma di vita, spoiler: è brutto) e l’unica cosa che mi ha colpito di quelle pagine è una riflessione dell’autrice sulla diversa importanza data alla menzogna in Europa e negli USA. In America non dire la verità è considerata tra le condotte personali più gravi, mentre in Europa si è molto più tolleranti e in fondo la bugia – entro certi limiti – è giudicata socialmente accettabile. Ecco, la prima puntata di Monroe è lì a dimostrare questo pensiero della Nothomb: il medico si trova a doversi occupare di una giovane coppia, che rischia di scoppiare per via dei problemi medici della ragazza. Non sto a spoilerarvi tutta la faccenda, ma il messaggio finale che esce dalla puntata è: “una bugia a fin di bene, non è peccato”. Se in una serie USA si sarebbe arrivati in qualche modo a far confessare la verità, imponendo quel gesto come unico accettabile, qui invece si prende una direzione diversa. Ecco, in questo passaggio e in questa scelta, ho trovato il motivo d’esistere di Monroe. È vero, assomiglia molto a House e a medical più o meno visti, ma ha la capacità di trovare una propria strada e un proprio tono. Quello della bugia e dello spirito europeo è un esempio, l’altro è una regia che – come da recente tradizione british – è semplicemente eccezionale, da capogiro. Non sarà la serie che vi cambierà la vita, né quella che vi farà rinnegare Hugh Laurie e soci, ma di sicuro è un telefilm che sa uscire dal binario del mero remake.  E sì, ogni volta che uso “mero” sento un brivido lungo la schiena.

Previsioni per il futuro: Monroe dovrà affrontare casi (più o meno umani) sul lavoro, mentre la sua vita privata gli esploderà tra le mani.

Perché seguirlo: per la sua europeità e la sua capacità di trovare un accento e un linguaggio sufficientemente diverso.

Perché mollarlo: perché siete integralisti dell’House o dell’house.

 

 



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