24 Agosto 2016 8 commenti

Jean Claude Van Johnson: Amazon, dacci la serie col Van Damme imbecille! di Diego Castelli

Una parodia da leccarsi i baffi

Copertina, Pilot

Jean Claude Van Johnson (4)

UPDATE 27 SETTEMBRE 2016: TUTTE E TRE LE SERIE RACCONTARE IN QUESTO ARTICOLO SONO STATE APPROVATE DA AMAZON. GIOIAMONE COMPULSIVAMENTE!

 

Sono ormai tre anni che Amazon, nell’ottica di una produzione seriale che possa coinvolgere fin da subito i gusti del pubblico, propone la sua “Amazon Pilot Season”. In pratica Amazon produce dei pilot che gli sembrano interessanti, ma lascia agli utenti finali la scelta di cosa trasformare effettivamente in serie tv. È in questo modo, per esempio, che sono nate Transparent e Mozart in the Jungle.

Ora, per star dietro anche ai pilot abbandonati da Amazon avremmo bisogno di altre quattro vite e/o diciotto stagisti, quindi spesso aspettiamo semplicemente che vengano prese decisioni definitive per poi occuparci delle serie vere e proprie.
Stavolta però si fa un’eccezione, perché Amazon ha buttato lì un pilot con Jean Claude Van Damme.

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Digressione romantica e malinconica
Io sono nato nel 1982, e la mia coscienza si è dunque formata a cavallo fra anni Ottanta e Novanta. Per questo, a fronte di un rifiuto netto e immediato delle religioni tradizionalmente intese, il me bambino si costruì un suo personale pantheon di divinità pagane da idolatrare e in cui riporre preghiere e speranze.
Una di queste divinità era Jean Claude Van Damme. Culturista e appassionato di arti marziali, Van Damme emigrò dal Belgio agli Stati Uniti proprio nel 1982 (il destino all’opera!) e divenne presto un apprezzatissimo protagonista di filmacci d’azione, roba che non gli permise mai di diventare famoso come uno Stallone o uno Schwarzenegger, ma con la quale fece comunque breccia nel cuore di milioni di ragazzini come me che, di fronte alle sue spaccate viste su Italia 1 (tanto ridicole dal punto di vista del realismo quanto entusiasmanti sullo schermo), elaborarono sogni infantili ma di feroce potenza, formulati nel più classico dei “da grande voglio diventare forte come Van Damme”. Poco importava che Van Damme probabilmente non fosse davvero “forte”, e ancora meno interessa il fatto che, da adulto, non sarei in grado di tener testa neppure a sua madre: rimane la bellezza fanciullesca di ore e ore passate a sognare sulle imprese hollywoodianissime di questa specie di ballerino che scimmiottava Bruce Lee.

Fine digressione romantica e malinconica

Jean Claude Van Johnson (1)

La digressione serviva per dire che, malgrado gli ultimi anni della carriera di Van Damme non siano particolarmente brillanti (con poche seppur importanti deviazioni dal tv movie scalcagnato), l’affetto dei suoi fan rimane immutato, tanto che l’idea di una serie tv con lui protagonista produce un certo fremito nei nostri vecchi cuori nostalgici.
In tutto questo la cosa bella, la cosa soprattutto intelligente, è che Amazon non ha puntato a un prodotto serio, buttandosi invece sulla parodia. Jean Claude Van Johnson, questo il nome della possibile serie, racconta infatti di Jean Claude Van Damme, un attore ormai ritiratosi dalle scene per non fare la fine di Nicholas Cage, che però nasconde un segreto: la sua intera identità di attore era in realtà una copertura, perché per tutti questi anni le riprese dei film erano semplicemente una scusa per compiere vere missioni segrete e pericolosissime, sotto il nome di Jean Claude Van Johnson.
Boom.
Mi sbilancio senza problemi nel dire che il pilot da mezz’ora è semplicemente eccezionale. Con lodevole autoironia, Van Damme gioca con tutti gli stereotipi della sua professione, dei suoi più noti successi e della sua immagine pubblica, dalle scazzottate sotto alla pioggia agli urletti, dalla mania dei cattivi di attaccare uno alla volta alla mitica spaccata, che già l’attore aveva preso in giro in un ben famoso spot della Volvo.

Invece di scrivere una vera e propria “serie tv con Van Damme”, adagiandosi su stili e dinamiche che puzzano di vecchio da quindici anni, gli autori ribaltano tutto creando un racconto pienamente autoconsapevole, che fa il giro completo dall’action alla parodia e poi di nuovo all’action: il bello sta proprio nel fatto che le scene d’azione con Van Damme si vedono davvero, e sono come quelle che ci piacevano da bambini, ma vengono inserite in un contesto parodistico che ne svela l’illusione cinematografica e ci restituisce il senso vertiginoso di un prodotto sofisticato ma anche tamarro come una volta.
È un’operazione accattivante di per sé, scritta e girata con cura e passione, abbastanza nuova per la tv (per lo meno in questo genere), a cui si aggiunge la componente non secondaria dell’effettiva bravura di Van Damme.
Legato probabilmente a vita al concetto dei film di serie B, Van Damme è costantemente vittima di un pregiudizio forse inevitabile, che lo butta nel calderone degli attori cani che sanno giusto menare le mani sullo schermo. La verità è che Van Damme cane non lo è mai stato veramente, e anzi nel gruppone degli Steven Seagal (sempre sia lodato), dei Chuck Norris e dei Dolph Lundgren, è sempre stato largamente il più bravo dal punto di vista strettamente recitativo. Non è un caso che, in vita sua, si sia già avvicinato altre volte ai toni della commedia e dell’esasperazione, come ad esempio in Welcome to the Jungle, perché i registi vedevano in lui un interprete più versatile e meno rigido di altri suoi compagni di cazzotti.
La natura, poi, è stata in qualche modo generosa: ormai perso il volto da bambolotto allucinato che aveva da ragazzo, ora Van Damme ha pure una bella faccia ruvida, segnata, intensa, che potrebbe effettivamente adattarsi alle esigenze di un attore impegnato e serio (o a un sosia di Rocco Siffredi, devo ancora decidere). Questa specie di piglio arcigno, perfetto per l’attore al tramonto segnato dalla vita, diventa altrettanto perfetta quando si lega alla parodia, che da quello sguardo cinico e duro riceve ulteriore spinta al momento del ribaltamento comico.

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Insomma, Jean Claude Van Johnson è una figata, e mentre lo guardavo applaudivo forte. Ha un solo problema, potenzialmente molto grosso: il pilot sembra un lungo e splendido sketch del Saturday Night Live, e il timore è che buona parte della creatività spesa per scriverlo funzioni effettivamente solo una tantum, con il rischio che il giochino si rompa rapidamente una volta spalmato su molti episodi. A parziale compensazione c’è la storia d’amore: lo sceneggiatore David Callaham (co-autore della saga de I Mercenari) ha inserito una love story che sorprendentemente funziona, perché giocata su elementi classicissimi del genere e che a fine episodio rappresentano una (altrettanto sorprendente) buona fetta dell’interesse per un ipotetico secondo.
Aiutiamolo ragazzi, votiamolo, perché io ne voglio ancora.

Post scriptum: le altre due serie in gara
Amazon ha prodotto un pilot comico con Van Damme, e io voglio una serie comica con Van Damme.
Allo stesso tempo, l’etica serialmindesca mi impone di dare un minimo spazio anche alle altre comedy in gara che non sono robetta da nulla, anzi.
La prima è I Love Dick, creata niente meno che da Jill Soloway (mamma di Transparent) e con protagonista niente meno che Kevin Bacon, interprete di una specie di carismaticissimo guru della scrittura che affascina e irrita un’aspirante regista, pronta a tutto per ottenere il suo favore. Tocca ammettere che il pilot è molto bello, nei termini un po’ indipendenti a cui la serialità di Amazon ci ha già abituato, quelli di una commedia sporca e un po’ strana ma scritta benissimo dall’inizio alla fine.
La seconda è The Tick, creata da Ben Edlund e derivata dal personaggio a fumetti nato dalla fantasia dallo stesso Edlund nel 1986, prima che l’autore diventasse anche un prolifico sceneggiatore e produttore di serie tv (ha lavorato a Supernatural, Angel, Firefly, Gotham e altre). The Tick altro non è che la storia di un buffo supereroe senza grande memoria di se stesso e quasi completamente demente, che usa i suoi poteri per combattere il male e rendersi ridicolo, il tutto filtrato attraverso la prospettiva della futura spalla di Tick, un nerd con qualche problema psichiatrico e con la passione del complottismo. Ancora una volta, dunque, siamo nella parodia, questa volta di un genere che vive proprio in questi anni uno spaventoso successo di pubblico cine-televisivo.

Purtroppo sono tutte e tre belle serie, e i concorrenti di Van Damme danno anche l’impressione di avere un po’ più fiato sul medio-lungo periodo, in termini di pura scrittura e sviluppo della storia. Eppure, per quanto mi dispiacerebbe rinunciare alla coppia Soloway-Bacon ma anche alla parodia dei supereroi, di là c’è Van Damme che interpreta Van Damme che in realtà è una spia.
Non c’è nulla che possa battere una cosa del genere.
Amazon, dacci Van Damme, daccene di più!



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