30 Ottobre 2020

The Mandalorian 2×01 – Quell’attesissima boccata di classico di Diego Castelli

Torniamo nella galassia lontana lontana per nuove avventure in compagnia di Mando e Baby Yo… pardon, The Child

On Air

L’anno scorso, più o meno in questi stessi giorni, si parlava dell’arrivo di The Mandalorian, prima serie “di peso” della nuova piattaforma Disney+ e tuttora unica serie nuova che valga il prezzo del biglietto (non perché ne abbiamo fatte molte altre orrende, ma solo perché la pandemia ha rallentato i lavori di produzioni di altre future chicche, tipo la serie su Loki).
E sempre in questi stessi giorni, con ancora negli occhi la tenerezza trasudante da quel piccolo e ciccioso pupazzetto diventato universalmente (e impropriamente) famoso come Baby Yoda, analizzavamo quello che era il vero obiettivo di una serie come The Mandalorian, curata fin dei minimi dettagli da un maestro delle “cose di una volta”, ovvero Jon Favreau.
Dopo una nuova trilogia cinematografica incapace di mettere tutti d’accordo (eufemismo), a Favreau e a The Mandalorian il fandom di Star Wars chiedeva solo una cosa: facci rivivere quell’atmosfera là.

E The Mandalorian ce la fece. Con la sua prima stagione di otto episodi, la serie mise da parte quasi del tutto ogni tentativo di feroce ammodernamento o rivoluzione, per proporre al pubblico niente più e niente meno della Star Wars che conosceva, un racconto scritto con precisione ma con chiarezza, personaggi solidi e riconoscibili, un’avventura frizzante e adrenalinica, in cui si inserissero anche momenti di ironia e di commozione.
Certo, l’originalità è stata in parte sacrificata, visto che nella prima stagione di The Mandalorian non c’è praticamente alcunché che non si sia già visto altrove nel mondo di Guerre Stellari. Ma il succo era proprio quello: dopo una trilogia amatissima a cavallo fra anni Settanta e Ottanta, una trilogia prequel poco apprezzata nei primi anni Duemila (e rivalutata almeno in parte solo di recente), e un’ulteriore trilogia molto più recente che ha deluso tanti fan, a The Mandalorian era stato dato il compito di calcare proprio le vecchie vie della Forza, giocando tutto sulla nostalgia.
E Favreau, da questo punto di vista, aveva fatto un lavoro encomiabile, perchè la prima stagione (e per dirlo userò una formula che mi rendo conto di usare spesso in caso di analisi di serie particolarmente dritte nelle loro intenzioni) era “proprio quella roba lì”.

Un anno dopo non è cambiato niente nelle intenzioni alla base dello show, ma nel frattempo è cambiato tutto il mondo intorno. Se a fine 2019 i problemi della saga di Star Wars potevano ancora essere in cima ai nostri pensieri, a fine 2020 siamo alle prese con una crisi globale che, anche volendo rimanere strettamente legati ai temi di questo sito, impone un sacco di altre riflessioni, fra serie rimandate, riscritte, molte del tutto cancellate.
Eppure, paradossalmente, la funzione di The Mandalorian non solo non è cambiato, ma si è perfino rafforzata. Perché se c’è una cosa che ci può far piacere ora, quando altre serie (giustamente) cominciano a presentare personaggi con mascherine e videochat su Zoom, è prenderci un’ora alla settimana per andare in una Galassia lontana lontata, dove la sola mascher(in)a è quella di un guerriero corazzato che ha un unico obiettivo: salvare una piccola creaturina da una società impazzita dopo la fine di un malvagio Impero.
E giusto per essere chiari: tanto quanto un anno fa, la premiere stagionale di The Mandalorian è una boccata d’ossigeno.

Ora, siccome questa recensione esce a poche ore dal rilascio dell’episodio, facciamo così. Io vi dico in poche righe, senza spoiler, perché è un grande ritorno. E poi vi elenco in maniera più caotica ma gioiosa un po’ di cose spoilerose che mi son piaciute un sacco, ok?
Bene, perché è un grande ritorno? Beh, perché di nuovo ha dentro tutto. “The Marshal”, questo il titolo dell’episodio, riporta il nostro Mando su Tatooine alla ricerca di un vecchio compagno di gilda che potrebbe aiutarlo a trovare (ammesso che esista) il popolo di The Child, in modo da poterlo riconsegnare alla sua gente. Sul pianeta desertico che fu casa di Luke Skywalker, però, Mando trova un paesello minacciato da un mostro, un carismatico sceriffo con cui allearsi, e l’occasione per una bella avventura piena d’azione. Il tutto in un episodio, diretto dallo stesso Jon Favreau, che non risparmia grandi effetti speciali dal sapore cinematografico (dev’essere costata un botto sta puntata), continui rimandi alla saga cinematografica, e un paio di specifiche sorprese che se non valgono la comparsa di Baby Yoda nel pilot, beh, pochissimo ci manca.
Insomma, The Mandalorian è questo: una serie dai valori produttivi altissimi, semplice ma calibratissima nella scrittura, con tutte le sue cose al posto giusto. Se la prima stagione vi ha entusiasmato, non vedo proprio perché questa premiere non dovrebbe sortire il medesimo effetto.

DA QUI IN POI SPOILER

Ecco, ora veniamo ai dettagli, perché mi sembra ragionevole battere fanciullescamente le mani per alcune specifiche sequenze e scelte narrative che mi hanno riacceso potentemente l’entusiasmo per la serie.
Vado in ordine. Cioè, l’ordine è un po’ a caso, ma nel senso che metto i punti.

-Timothy Olyphant: scegliere lui per interpretare Cobb Vanth è stata ovviamente una scelta vincente. Dico ovviamente perché Olyphant ha un carisma fotonico che gli esce anche dai gomiti, fa funzionare qualunque ruolo gli affidino, e la parte di uno sceriffo bello e maledetto in un polveroso paese di frontiera (per lui che è diventato famoso con Justified) gli calza particolarmente a pennello.

-L’armatura: quando vediamo comparire Vanth per la prima volta non lo vediamo in faccia, perché ha addosso un’armatura da mandaloriano pur non essendolo (e il fatto che non lo sia, prima ancora che lo dica, è evidente dal fatto che si toglie il casco senza battere ciglio). Ebbene, qualunque fan di Star Wars, vedendo quell’armatura e le condizioni in cui è conciata, sa benissimo da dove arriva: da Boba Fett, il leggendario cacciatore di taglie che diede molto filo da torcere e Luke e Han nella trilogia originale, salvo poi finire nelle enormi fauci di un sarlacc. Già solo questo dettaglio ci riempie di tepore nostalgico.

-Le piccole sfumature politiche. The Mandalorian è una serie d’avventura, che non perde troppo tempo nei dettagli socio-politici che innervano altri punti della galassia di Star Wars. Però già nella prima stagione, e ancora più in questo episodio, mi è piaciuta l’attenzione posta alla descrizione di un mondo in cui la caduta dell’Impero Galattico non ha dato il via a una immediata stagione di pace e prosperità per tutti, come era lecito credere a inizio anni Ottanta, dopo la fine del Ritorno dello Jedi. No, soprattutto nei pianeti più periferici, la fine di un importante potere centrale porta al Far West, ai regolamenti di conti, a un caos per lo meno momentaneo che diventa ottimo spunto per molte narrazioni gagliarde, ma anche un buon terreno di coltura per giustificare certi eventi di Episodio VII. Sì insomma, a girare The Mandalorian prima dell’ultima trilogia, ci arrivavamo più consapevoli.

-Il drago Krayt e Dune: ambientare un intero episodio su Tatooine, in cui Mando e Cobb devono combattere un enorme serpentone delle sabbie, non può che rimandare direttamente alla saga di Dune, una delle maggiori influenze letterarie di tutta Star Wars. E fa un certo affetto vedere questo episodio ora, quando proprio l’uscita dell’attesissimo film di Dune, diretto da Denis Villeneuve, è stata rimandata di mesi a causa della pandemia. Considerando la qualità nella messa in scena del vermone, e il desiderio istintivo che ti suscita di vederlo sul grande schermo, è come se Favreau avesse detto “raga tranquillo, anche se vi hanno rimandato Dune, ora ve lo faccio vedere io un bel vermone”. Non siate maliziosi però eh…

-Ovviamente Boba. Se il pilot di The Mandalorian si chiudeva con lo stupore per la comparsa del Child, questo episodio si chiude con altrettanto stupore (anche se la notizia era già trapelata nei mesi scorsi) nel rivedere il faccione un po’ invecchiato ma ancora granitico di Temuera Morrison, interprete di Jango Fett nella trilogia prequel e ora di un redivivo Boba (che naturalmente, essendo un suo clone, ha lo stesso volto del padre). Un Boba che, a questo punto, è ufficialmente sopravvissuto al sarlacc, e guarda con un po’ di fastidio la sua vecchia armatura portata via da Mando. Può sembrare solo un colpo di teatro, ma trovo che reintrodurre Boba Fett sia un’ottima idea perché in realtà, se rimaniamo solo nell’ambito delle trilogie cinematografiche, è un personaggio che guadagnò un’enorme fama più che altro dal punto di vista estetico, ma di cui effettivamente si sa pochissimo, e che invece ora può dare sostanza alla sua leggenda con un approfondimento degno di un personaggio così amato.

-I mille piccoli dettagli. Sarà banale, ma Star wars è anche questo, la capacità di mettere in scena un tot di dettagli che i fan possono riconoscere e apprezzare, al netto di quello che effettivamente si racconta nell’episodio. Vale per il modo di muoversi dei sabbipodi, quando esultano con le loro aste sopra la testa. Vale per le scenografie di Tatooine. Vale per certe inquadrature in cui gente buffa in sella a enormi cavalcature alza gli occhi per guardare navicelle di passaggio. La capacità di George Lucas di inventare a suo tempo non solo un preciso mondo narrativo, ma anche un universo così visivamente riconoscibile, fa sì che ora un regista abile e devoto come Favreau possa giocare quanto vuole a strizzare l’occhio agli appassionati e appassionate come lui, facendoli sentire immediatamente a casa. E mamma mia quando abbiamo bisogno di sensazioni del genere in questo periodo balordo.



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