20 Maggio 2011 1 commenti

Il petalo cremisi e il bianco di Marco Villa

Londra è più sporca che mai

Correva l’anno 2004. Io mi accingevo a scrivere la tesi per la laurea triennale e intorno a me centinaia di ragazze leggevano lo stesso libro. Ok, forse non erano centinaia, ma vabbé. Quello che è certo è che il libro era Il petalo cremisi e il bianco di Michel Faber. Il commento era unanime: “bellissimo”. Tali commenti arrivavano da persone di cui mi fido, ma ammetto che l’argomento all’apparenza prettamente femminile e la mole non da poco del tomo, mi rimbalzarono. Poi – oh – stavo scrivendo la tesi. Quando finii di scriverla, l’hype ormai si era esaurito e ciao. Il mese scorso è arrivata la miniserie di BBC. Visto che adesso con una delle spingitrici di petali cremisi ci vivo, non ho avuto scampo.

The Crimson Petal and the White è una miniserie in quattro puntate, andata in onda dal 6 al 27 aprile su BBC Two. L’autrice è la drammaturga Lucinda Coxon e nel cast ci sono alcuni volti noti, come Chris O’Dowd di The IT Crowd e una rediviva Gillian Anderson da X-Files. La vicenda, ambientata intorno al 1870, ruota intorno al rapporto tra la prostituta Sugar e un facoltoso industriale, che la prende sotto la propria ala protettrice, trasformandola da squillo ad amante ad altre cose che non vi spoilero.

Ciò che emerge fin dai primissimi fotogrammi è che si tratta di un lavoro di qualità. Ma di grande qualità. Le immagini, curate in ogni dettaglio, sono nettamente divise in due. C’è una parte della serie ambientata nei bassifondi di Londra, dipinti come un luogo che non ha nulla da invidiare all’inferno dantesco. Scuro, diroccato, abitato da puttane e papponi che sono a tanto così dall’essere veri e propri freak. E poi i suoni: da ogni angolo arrivano urla, ansimi, scalpiccii, rumori di corse e di risse. Un immaginario quasi da fumetto, dominato dai toni neri e grigi, sorta di versione pre-novecentesca della Sin City di Frank Miller. In opposizione a questo squallore, ci sono gli interni. Tutti dominati dal rosso, brillano per lucentezza e danno un’idea di opulenza. In alcuni casi giustificata, quando si tratta delle case dei ricchi, in altre solo illusoria – nei bordelli. Un rapporto interno/esterno che rimanda a quello messo in scena in Boardwalk Empire. Una regia, insomma, tutta giocata sui colori, rispettando giustamente la forza cromatica del titolo e in linea con un altro prodotto inglese di cui abbiamo parlato non molto tempo fa, ovvero Marchlands.

Se a livello di immagini non si può muovere nessuna critica alla serie, a livello di scrittura qualcosa non torna. Pur essendo affascinante e carica di potenzialità, la vicenda di Sugar purtroppo non coinvolge. Se si esclude l’ultimo – bellissimo – episodio, tutto il resto sembra muoversi per caso, dove “caso” non va inteso a livello di fatalità, destino, ma proprio di “svolte narrative inesistenti”. Nelle prime tre puntate, si galleggia in un limbo in cui gli eventi si muovono, ma non riescono mai a colpire lo spettatore con il loro stesso farsi. Gli attori fanno il loro, ma, nonostante il carisma e la bravura che ci mettono, non riescono da soli a dare vita alle scelte e alle azioni dei loro personaggi. Bravissima Romola Garai nell’interpretare Sugar, semplicemente eccezionale la partecipazione di Gillian Anderson nel ruolo della maitresse.

In conclusione, se volete rifarvi gli occhi con qualcosa di altissimo livello visivo, Il petalo cremisi e il bianco è qui che vi aspetta. La scrittura forse non vi entusiasmerà fino in fondo, ma il tempo non sarà certo buttato. Per quattro ore sarete immersi in un mondo inquietante, dove l’ipocrisia e il benpensare sono ben più pericolosi del peggior magnaccia di periferia.

 



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