MobLand – Guy Ritchie, Tom Hardy, Pierce Brosnan, Helen Mirren di Diego Castelli
Grandi nomi davanti e dietro la macchina da presa, per una serie tamarra e adrenalinica pensata inizialmente come prequel di Ray Donovan
Ogni tanto capita di mettersi al lavoro su articoli che, almeno questa è l’impressione, potrebbero scriversi da soli. O, per essere più contemporanei, che potrebbe scrivere l’intelligenza artificiale senza che nessuno noti la differenza.
Però qui non c’è l’IA eh, sono proprio io. Banana, caldaia, quadrimotore, le tagliatelle di nonna Pina.
Nessuna IA scriverebbe queste cose a caso. A meno che qualcuno non le avesse detto “fai in modo di scrivere qualcosa di assurdo per far credere che sei una persona che vuole dimostrare la propria umanità scrivendo qualcosa di assurdo”.
Abbastanza inquietante. Ma comunque, che ci crediate o meno, sono proprio io, e oggi parliamo di una serie drittissima, facile facile, ma pure gagliarda, che sarà disponibile dal 30 maggio su Paramount+ anche se in patria ha già debuttato il 30 marzo: MobLand.

A ben guardare, l’elemento più particolare di MobLand, creata da Ronan Bennett (già firma della recente The Day of the Jackal), è la sua genesi: inizialmente doveva intitolarsi “The Donovans”, e doveva essere un prequel di Ray Donovan, la serie di Showtime di cui il nuovo show avrebbe rappresentato un’espansione dedicata alla famiglia del protagonista.
In realtà, però, lo sviluppo successivo a quell’idea iniziale ha fatto preferire un lavoro tutto nuovo, che non avesse alcuna connessione con Ray Donovan, mantenendo però salda una forte anima irlandese, e pure un protagonista che con il personaggio di Liev Schreiber ha parecchie somiglianze.
Se Ray Donovan era un fixer chiamato a risolvere i casini criminali delle star hollywoodiane, Harry (Tom Hardy) fa lo stesso mestiere direttamente nel mondo della malavita, seguendo in particolare gli ordini di Conrad Harrigan (Pierce Brosnan) e indirettamente di sua moglie Maeve (Helen Mirren), boss del traffico di droga in costante lotta contro capi e capetti di fazioni rivali.
Harry prende i suoi ordini, inventa piani per risolvere i problemi, e lo fa proprio come il Mr. Wolf di Pulp Fiction: con professionalità, concretezza e molto aplomb.

Il cast l’abbiamo già annunciato in buona parte, e fa la sua porca figura: Tom Hardy ha un carisma pazzesco, ce l’ha sempre avuto, e sembra nato per impersonare questi personaggi teoricamente controllati e pure divertenti, ma in cui sobbolle una violenza potenzialmente distruttiva (lo faceva anche in Peaky Blinders).
Pierce Brosnan è un ex 007 prestato al crimine (come in realtà gli è accaduto più volte dopo l’esperienza da James Bond) e interpreta benissimo il padre padrone in cui la capacità di guidare un impero malavitoso si rivela molto presto poco trasmittibile per via esclusivamente genetica, come mostra la goffaggine dei figli e l’indisponenza dei nipoti.
Helen Mirren, dal canto suo, potrebbe sembrare la moglie forte e devota che già mette in scena in 1923, con la differenza che qui c’è un delizioso quid aggiuntivo di perfidia, macchinazione, e forse aperta follia.
A tutto questo, poi, si aggiunge la regia di Guy Ritchie, che gira il primo episodio (ma non solo il primo) imprimendo alla narrazione il suo ritmo, la sua tensione, e spinge gli attori verso interpretazioni nette e precise, che buchino lo schermo, che creino personaggi subito memorabili capaci di maltrattare un po’ gente per costruirsi una fama ai nostri occhi, in attesa che i caratteri più forti finiscano inevitabilmente uno contro l’altro.

Perché sarà questo che succederà. La sceneggiatura di Ronan Bennett costruisce rapidamente un sistema di famiglie concorrenti, in cui i grandi strateghi devono contemplare i loro piani di conquista o protezione del potere, sapendo che qualche scheggia impazzita nella loro famiglia potrebbe fare un casino abbastanza grosso da rendere necessarie improvvise correzioni di rotta.
Fin dal pilot, MobLand è una serie in cui tutti i personaggi sono costantemente a rischio di accuse, tradimenti, agguati, minacce, e se escludiamo gli attori/personaggi più famosi, almeno per il momento, non ce n’è uno che possa dirsi al sicuro, e già dal pilot percepiamo con chiarezza che, negli affari della famiglia Harrigan, non si fanno prigionieri.

Insomma, per tornare all’inizio del discorso e agli articoli che si scrivono da soli, MobLand sembra essere esattamente quello che era lecito aspettarsi leggendo i nomi coinvolti alla regia, alla sceneggiatura e nel cast.
Non è una serie particolarmente “originale”, ma è un prodotto che fa solide promesse offrendo immediatamente altrettanto solide realtà (semi-cit.), sgomitando nella calca seriale come uno show che gli amanti del genere dovrebbero proprio tenere d’occhio.
Perché seguire Mobland: una storia di gangster solida, divertente, appassionante, piena di nomi importanti che fanno quello che devono.
Perché mollare Mobland: si inserisce in un genere piuttosto preciso, lasciando pochi appigli a chi quel genere non lo apprezza.
