24 Febbraio 2011 3 commenti

Serial Goodbye – Addii nei telefilm di Diego Castelli

Quando la scomparsa di un personaggio cambia il futuro, cancella le serie, o non frega niente a nessuno.


OCCHIO CHE QUALCHE SPOILER C’E’, PERO’ QUASI TUTTI SU COSE GIA’ ANDATE IN ONDA IN ITALIA…

Il post-fiume di oggi è dedicato agli addii telefilmici. No, non io e il Villa che molliamo una serie perché ci siamo sfracassati i maroni. Parlo di personaggi che lasciano un telefilm per le cause più svariate, liberando copiosi lacrimoni sulle nostre guanciotte. Oh, se ve lo state chiedendo, tranquilli, a casa tutto bene.

Quando qualcuno se ne va – per la volontà di un autore, del network, dell’attore, ecc – le fondamenta stesse di una serie vengono sconquassate, con gli esiti più imprevedibili.
Talvolta, l’addio di un protagonista viene deciso a tavolino, con l’intento di dare una spinta a un prodotto che arranca. Perché tutti sanno che salutare un volto amato, meglio se morente, fa uscire di testa i telespettatori come poco altro.
In altri casi, l’addio è indipendente dalla volontà della rete o degli autori, che anzi vorrebbero proprio evitarlo, ben sapendo che causerà grossi guai.
Succede anche, però, che quelle stesse difficoltà costringano sceneggiatori ingrassati dalle ciambelle e instupiditi dalla Red Bull a rimboccarsi le maniche del camicione di flanella, riattivando quanti più neuroni possibile per trovare una scappatoia, un modo per permettere all’attore di sparire senza lasciare terra bruciata dietro di sé.

Se penso a tutte queste possibilità, i miei ricordi di serialminder offrono moltissimi esempi…
(Qui immaginate una musica d’atmosfera…)

Ovviamente le serie più soggette al fenomeno sono quelle che durano a lungo. E chi più di ER può rappresentare l’inizio di questo discorso? Un telefilm che, all’ultima puntata, non aveva più nessun personaggio della prima, o quasi. A pensarci fa impressione. E gli autori lo sapevano, quando verso la fine hanno fatto tornare George Clooney, e gli hanno fatto scambiare con Abby un dialogo brillantissimo dove si mostrava con chiarezza come tutti i medici della generazione di Doug Ross fossero ormai spariti.
Proprio l’addio di Clooney rimane uno dei più devastanti della storia dei telefilm, anche se ER ha retto benissimo, tanto da portarci al tumore di Mark Green, al licenziamento della Weaver, alla morte di Romano (segnatevelo, aspiranti scrittori: per far provare pietà verso un personaggio stronzo basta fargli tagliare un braccio da un elicottero, poi farlo schiacciare da un altro elicottero, e infine mostrare che a nessuno gliene fotte niente).
Anche se, in ER, l’addio più potente fu per me un altro: quello di Lucy, aspirante protagonista, ferita da un mitomane e morta per le conseguenze dell’accoltellamento dopo una puntata straziante che, ricordo, mi lasciò a occhi sbarrati per tutto il resto della serata.

Rimanendo in area medical, pure Grey’s Anatomy non ha scherzato: Burke ha lasciato sull’altare Cristina, ma solo perché l’attore che lo interpretava aveva avuto la bella pensata di insultare il collega T.R. Knight per la sua omosessualità. La produzione si incazzò molto, e cacciò Isaiah Washington marchiandolo come “l’omofobo”. Certo, per coerenza avrebbero potuto evitare di ammazzare il personaggio di Knight, il timido ma simpatico George O’Malley, sfigurato e poi ucciso da un terribile incidente d’auto.
Grey’s
ci ha anche dato un esempio recente di “addio per spinoff”, con Kate Walsh andata via per unirsi allo studio medico scopereccio di Private Practice (una serie talmente femminile che dopo averne viste due stagioni ho cominciato a sentirmi spossato e dolorante ogni 28 giorni; l’ho mollata per paura di una gravidanza).
Inutile dire che da questa serie aspettiamo l’unico addio veramente necessario: quello di Meredith “non-servo-ad-altro-che-a-fare-il-voice-over-nelle-introduzioni” Grey.

Ma non ci sono solo i medical – per quanto si potrebbe citare anche House, con il suo rinnovamento di cast nella quarta stagione e l’addio di Kal Penn, partito per fare il politico con Obama (più o meno come Luca Barbareschi con Fini, uguale uguale).
Una come Lost, ad esempio, non poteva non essere terreno ideale per succulenti abbandoni. Premesso che salutare Shannon è stato brutto perché era gnocca, e che suo fratello sembrava morto ma in realtà era stato vampirizzato, l’addio più clamoroso è probabilmente quello di Charlie. Non tanto perché il suo “NOT PENNY’S BOAT” è uno dei migliori finali di stagione di sempre, quanto perché J.J. Abrams gli aveva detto “tranquillo giovane, finché ci sono io, tu avrai sempre un posto nello show”.
Blam, annegato due mesi dopo.

Ma il mistery, il soprannaturale e il supereroistico danno sempre grandi soddisfazioni.
Io lo so, birbantelle, che ancora piangete per l’addio di Angel a Buffy. E meno male che gli hanno dato lo spin-off, sennò in quegli anni il tasso di suicidi tra adolescenti ormonate si sarebbe alzato di brutto.
E arrivo subito a Smallville, che più o meno sta facendo la fine di ER: del cast originale, c’è praticamente solo Clark. Lex morto, Lionel morto, Jonathan morto (cazzarola, un’ecatombe), Pete andato via perché inutile, Lana trasformata in supergnocchetta con la passione per la pace nel mondo, Martha diventata senatrice (forse per l’abilità con le torte, non vedo altro motivo…).
Voglio citare anche Streghe, perché so che tra voi si annidano molte fan di uno degli show più trash di sempre. Che, sia chiaro, ho visto dal primo all’ultimo episodio. Lì ci volle relativamente poco prima che Shannen Doherty decidesse che era proprio arrivato il momento di litigare con tutti e farsi cacciare, decretando così la morte di Prue. Una cosa che non le perdonerò mai. In primo luogo perché ha costretto gli sceneggiatori a scrivere un paio di puntate ridicole, per giustificare il fatto che fosse completamente morta in una serie dove tutti risorgono e/o si ripresentano come fantasmi. Ma soprattutto perché ha portato all’ingaggio di Rose McGowan, una delle attrice più cagne di ogni tempo, che al confronto Monica Bellucci sembra davvero l’erede di Sophia Loren, come un De Niro forse drogato ha goffamente affermato dal palco di Sanremo.

La povera Shannon, ex Brenda di Beverly Hills 90210, ci porta ai (teen) drama, altra manna per gli abbandoni. Se n’è andata appunto Brenda (la Shannon aveva litigato anche lì, dev’essere proprio simpatica…), ma se ne andarono anche Dylan, che poi tornò, Brandon, e prima ancora Andrea, forse morta di vecchiaia.
In Dawson’s Creek resistettero quasi tutti, tranne Andy, che venne mandata in un apposito istituto di igiene mentale perché, come tutti sanno, aveva la rabbia.
In The OC si schiantò Marissa/Mischa Barton, un’altra che a parlarci ti fa venire una irrefrenabile voglia di omicidio. Lei però era davvero importante, tant’è che molti fan nemmeno contano l’unica, povera stagione che seguì la sua dipartita.

Attraversando casualmente i generi si potrebbero trovare mille altri esempi. Possiamo citare Marcia Cross che lascia Everwood per andare a Desperate Housewives (chiamala scema…), o Idie Britt/Nicolette Sheridan morta proprio in Desperate (capita quando accusi il creatore della serie in cui lavori di averti picchiata…). Possiamo chiamare in causa Grissom, ché William Petersen ormai non ne poteva più di vetrini e provette: ha sempre detto di avere altri progetti, come il teatro, ma secondo me voleva semplicemente grattarsi la pancia sul divano senza pensare che la macchia lasciata dal boccale di birra sul tavolino accanto potesse servire a rintracciarlo.

Potremmo persino parlare degli addii “futuri”, come quelli di una parte imprecisata del cast di Glee, che tra un paio d’anni dovrebbe subire un corposo rinnovamento attoriale, parola di Ryan Murphy.

Chiuderò invece in modo diverso, rendendo omaggio agli addii minori, alla scomparsa di personaggi di per sé poco importanti, o comunque non protagonisti, ma che svanendo regalano conseguenze epocali, episodi-capolavoro e, spesso, intere esistenze seriali.
Penso alla moglie di Opie in Sons of Anarchy (le conseguenze a lungo termine del suo omicidio sono ancora tutte da scoprire). Penso a Zack in Bones, persino trasformato in “cattivo”. Penso al marito di Hilda in Ugly Betty, personaggino insipido, ma perno di un grande episodio, dove per un’ora abbiamo visto l’immaginazione di Hilda, prima di scoprire con sorpresa che la realtà era ben diversa, e assai peggiore.

Ma soprattutto, rendiamo omaggio alle decine di migliaia di vittime dei crime, dei disastri tipo-Flash Forward, dei poteri folli di un pasticcere, o di un serial killer dei serial killer. Rendiamo omaggio a Laura Palmer, che poteva essere la protagonista birichina di un teen drama, e che invece è morta per donarci Twin Peaks. Un’enorme carrellata di volti anonimi, di morti ammazzati, incidentati, rapiti, ma senza i quali una parte consistente del mondo seriale nemmeno esisterebbe, perché Horatio Cane prenderebbe impronte solo per scoprire dov’è finito il gatto della vicina.

Come a dire che spesso, per dare il benvenuto a una grande serie, bisogna partire da un doloroso addio.
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